28 Settembre 2024
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LE PORTE DI YGGDRASILL
Fonti Letterarie
La Cristianizzazione dei Popoli Norreni
Il processo di cristianizzazione delle popolazioni norrene ha sancito di fatto la fine dell’epoca vichinga. È stato un percorso lungo e complesso che vien fatto risalire ai primi anni del IX Secolo, anche se i popoli nordici avevano avuto sporadici contatti con la religione cristiana, già in precedenza. L’introduzione della nuova religione nella cultura nordica è legata all’espansionismo della Chiesa, ma soprattutto a interessi di natura politica.
Un elemento che desta particolare attenzione in questa fase di gestazione verso una nuova sfera religiosa è che per i popoli nordici non c’era alcun interesse verso gli aspetti prettamente teologici o le argomentazioni filosofiche attorno ad un concetto astratto di divinità. La stessa figura di Cristo veniva concepita come una sorta di sciamano, in grado di sconfiggere anche la morte, che attraverso il compimento dei miracoli possedeva una dottrina alla stregua, se non addirittura maggiore, delle altre divinità norrene.
Questo ha fatto sì che la predicazione dei missionari inviati nelle regioni del Nord fosse enfatizzata per impressionare le popolazioni locali, tralasciando quegli aspetti del cristianesimo che difficilmente avrebbe potuto avere presa. Alcuni temi peculiari del cristianesimo sono stati assorbiti anche nella tradizione letterario-mitologica del paganesimo nordico, come il concetto di “premio per l’al di là” descritto nella Vǫluspá o Predizione dell’Indovina.
Tradizione nordica e cristianesimo convissero fianco a fianco per molto tempo, tra tolleranza e curiosità, ma allo stesso tempo diffidenza e conservazione delle proprie radici culturali, mescolandosi e sovrapponendosi l’una con l’altro.
Gran parte dei missionari che giungevano nel Nord Europa portavano con sé il bagaglio della propria formazione culturale che pian piano fu introdotta insieme al nuovo credo religioso. Questa integrazione aprì nuovi orizzonti per le popolazioni del Nord ed ebbe importanti ripercussioni su vari aspetti culturali.

L'alfabeto runico
Gli studiosi hanno definito la scrittura runica come un sistema epigrafico, caratterizzato da incisioni (più frequentemente su legno, pietra e monete, ma anche su osso, armi o gioielli) riconducibili al ceppo linguistico germanico. Si tratta di un modello di scrittura la cui riproduzione fonetica avviene tramite singoli caratteri, detti “Rune” e nel caso in cui una sequenza runica venga elaborata secondo l’ordine alfabetico latino, si adotta l’accezione di “alfabeto runico”, come si evidenzia nei manoscritti dell’VIII secolo.
Proprio a questo periodo risalgono le prime forme di testi runici più articolati su steli, pietre funerarie e altri oggetti di culto.
La natura epigrafico-archeologica dei reperti runici, se da un lato pone interrogativi sui criteri di datazione e la cronologia dei reperti stessi (le prime testimonianze di scrittura runica risalirebbero al I secolo), suggerisce un campo di indagine interdisciplinare tra storia, archeologia, linguistica, epigrafia e filologia.
Un’altra criticità legata al mondo della scrittura runica riguarda le modalità di trasmissione e i soggetti che ne hanno diffuso la cultura. Gli studiosi fanno risalire le prime iscrizioni runiche alle regioni settentrionale dell’Europa continentale, tra la Germania e la Danimarca, da dove si sarebbero diffuse in Scandinavia, suggerendo che la scrittura runica sia stata originariamente un sistema di scrittura comune tra le diverse popolazioni germaniche, ovviamente con i vari distinguo etno-geografici.
La descrizione dei reperti runici si basa, solitamente, sul criterio comune di analisi, in funzione della tipologia dell’oggetto, il contesto del ritrovamento, il testo e le caratteristiche dell’iscrizione e, nel caso siano disponibile fonti attendibili, collegamenti con eventuali altri testi epigrafici o letterari.
Ad oggi sono state rese note circa 6.500 iscrizioni, tra quelle provenienti da ritrovamenti archeologici, quelle conservate nei musei (incisioni su gioielli, armi, monete o bratteati, manufatti sul modello di medaglioni di origine romana) e quelle recuperate tramite riproduzioni pittoriche provenienti da antichi antiquari.
L’interpretazione etimologica del termine “Rune” suggerisce un significato legato al verbo raunen, che può essere inteso come sussurrare o bisbigliare, interpretazione che riporta ad una dimensione magico-religiosa della letteratura nordica, come il discorso di Odino nell’Hávamál, il secondo canto dell’Edda poetica.
La sequenza runica prende il nome di Fuþark, dai primi sei simboli che la compongono: Fehu, Uruz, Þurisaz, Ansuz, Raido e Kaunan. Originariamente il Fuþark, era composto da 24 simboli, la cui forma spigolosa rimanda all’arte dell’intaglio, tipica delle popolazioni nordiche. Nel tempo, in Scandinavia l’alfabeto runico si ridusse fino ad arrivare, durante l’epoca vichinga, ad un totale di 16 simboli.
Esistono diverse versioni della sequenza runica, varianti in funzione del contesto storico e geografico. Ad esempio, nell’area anglosassone, il Fuþorc fu ampliato fino a 33 simboli e anche nella regione dei Frisoni, tra i Paesi Bassi e le coste settentrionali della Germania, dai reperti archeologici rinvenuti, si stima che ci sia stata una forma di scrittura runica autonoma.
Questa connotazione regionale del sistema di scrittura runico e la molteplicità delle sue varianti implica l’impossibilità di stabilire uno standard comune. Anche il fattore temporale incide in tal senso, se si pensa che delle iscrizioni runiche scandinave sono databili al’epoca pre-vichinga, mentre la maggior parte risulta essere frutto di un processo di conservazione dell’identità culturale a seguito della conversione al cristianesimo e la conseguente latinizzazione della scrittura.

Le fonti letterarie
Tra le più importanti rivoluzioni culturali nel mondo nordico medievale fu l’introduzione dell’alfabeto latino rispetto all’alfabeto runico, solitamente utilizzato per brevi iscrizioni di carattere magico o epigrafico.
A differenza delle rune, incise su pietre o oggetti di materiale rigido non permetteva una facile stesura di un testo scritto. L’alfabeto latino, al contrario, aveva una lunga tradizione nella compilazione di manoscritti e l’impiego di inchiostri e materiale cartaceo consentiva una relativa rapidità nella scrittura.
Un’altra differenza sostanziale sta nel fatto che l’alfabeto latino era costituito da lettere ritenute semplicemente uno strumento per la scrittura, mentre l’alfabeto runico aveva un carattere per molti versi legato alla sfera del magico e del sacro.
Le nuove autorità ecclesiastiche che si andavano affermando nelle comunità nordiche compresero che la possibilità di disporre di testi scritti sarebbe stata fondamentale per il consolidamento del loro potere che sempre più assumeva anche connotati politici.
La creazione di scuole presso i centri ecclesiastici agevolò l’idea di riversare su manoscritti gran parte del patrimonio mitologico della passata tradizione pagana, nonché composizioni poetiche di epoca vichinga, nelle quali veniva tramandata la memoria di personaggi famosi, di re, di famiglie eminenti e racconti leggendari, riconducibili soprattutto alla forte espansione derivata dalle esplorazioni, dalle guerre e dalle attività di commercio.
Rivitalizzando l’eredità culturale del passato, la produzione di opere letterarie ha determinato il fiorire di un’attività tra le più importanti per quanto riguarda l’intera letteratura europea medievale. La lingua nella quale sono state scritte queste opere viene comunemente definita “norreno” derivato dall’idioma norðrœnn, termine che può essere tradotto come nordico, settentrionale e con il quale si fa riferimento all’ultima fase dell’antico nordico, tra il XII e la metà del XIV secolo.

Letteratura e mitologia
Il paganesimo scandinavo possedeva un patrimonio mitologico e religioso molto ampio che affondava le proprie radici nella più vasta cultura germanica.
Rispetto alla Scandinavia, il mondo germanico continentale aveva subito la conversione al cristianesimo già secoli prima e ciò aveva di fatto portato al crollo della cultura pagana, la cui tradizione si era ineluttabilmente mescolata a quella cristiana. Il processo di cristianizzazione che si andò sviluppando nei territori scandinavi e la sua successiva alfabetizzazione, sottolinea come il patrimonio letterario nordico fu trascritto in un’epoca in cui il paganesimo era ormai tramontato e di conseguenza anche gli stessi autori furono condizionati dall’influsso della cultura cristiana.
Tra le opere fondamentali della mitologia nordica si annoverano:
Gesta Danorum, opera composta da 16 libri, scritta tra l’XI e il XII secolo, da un autore sostanzialmente ignoto che viene comunemente indicato come Saxo Grammaticus
Edda Poetica, opera risalente al XIII secolo, raggruppa 29 canti, suddivisi in due parti: i carmi degli dèi e i carmi degli eroi. Il vescovo Brynjólfur Sveinsson ne attribuì arbitrariamente la paternità a Sæmundr Sigfússon, un erudito chierico medievale. Il manoscritto islandese fu donato al re di Danimarca Federico III nel 1662 e fu ribattezzato Codex Regius. Conservato nella Biblioteca Reale di Copenaghen, fu restituito all’Islanda nel 1971.
Edda in Prosa, opera risalente al XIII secolo, trascritta dallo storico Snorri Sturluson, composta da un prologo (Fyrirsögn ok Formáli), in cui si rende evidente l’estrazione di matrice cristiana dell’autore, seguito da tre parti: Gylfaginning (L’Inganno di Gylfi) nella quale viene narrato l’incontro tra il re svedese Gylfi e Odino, nelle vesti di una triplice divinità; Skáldskaparmál (Dialogo sull'arte poetica), un immaginario dialogo tra divinità durante un banchetto nella dimora degli dèi; Háttatal (Trattato a riguardo dei metri poetici) un esercizio di stile per descrivere l’arte dei poeti, sopravvissuta alla fine dell’epoca vichinga.
Racconti minori, insieme di alcuni componimenti di carattere mitologico, accostabili per tipologia di contenuto all’Edda poetica, ma che non sono stati contenuti in tale manoscritto: I Sogni di Baldr (Baldrs draumar); Il carme di Rigr (Rígsþula) che narra la discesa tra gli uomini del dio Heimdallr; Il canto magico di Hyndla (Hyndluljóð); Il discorso di Svipdag (Svipdagsmál), composto a sua volta da Il Canto Magico di Gróa (Gróagaldr) e da Il discorso di Fjölsviðr (Fjölsvinnsmál); il canto di Grotti (Gróttasöngr) legato al mito del magico mulino di Fróði.
A completare il vasto panorama della letteratura medievale scandinava ci sono le Saghe, componimenti scritti a memoria di quell’identità collettiva che in qualche modo si voleva tutelare e conservare.
Quello delle Saghe fu un sistema di scrittura diffuso soprattutto in Norvegia e Islanda. Qui, l’esigenza di ricordare le proprie radici, di ribadire la propria identità culturale o semplicemente la necessità di creare una vera e propria comunità spinsero la classe più erudita a tramandare e raccogliere notizie su coloro che diedero inizio alla loro storia, a seguito della colonizzazione dell’isola.
Le Saghe Islandesi, in particolare, possono essere considerate a tutti gli effetti una sorta di precursore del romanzo europeo. Da esse provengono le principali informazioni in materia di consuetudini sociali e giuridiche, di tradizioni magiche e folkloristiche, nonché le credenze mitologiche o riconducibili altresì alla sfera religiosa.
Generalmente, le storie narrate prediligono contenuti di carattere drammatico, in scia alla tradizione epica in cui vengono esaltati i valori della fedeltà alla propria stirpe e l’accettazione del destino, dove è ricorrente lo stereotipo della premonizione. La figura dell’eroe, pertanto, viene descritta con caratteristiche di coraggio, lealtà, intraprendenza e senso di giustizia, doti che potranno assicuragli la fama anche dopo la morte, conservandone la memoria.
Dal resto della Scandinavia, soprattutto Danimarca, provengono le “Saghe del tempo antico” (fornaldarsögur), componimenti precedenti alla colonizzazione dell’Islanda e che traggono spunto dalla più antica tradizione eroica germanica, mantenendo un profilo leggendario, caratterizzato prevalentemente da elementi di carattere magico e mitologico.

Gesta Danorum
Le informazioni circa l’autore del Gesta Danorum sono molto scarse, tanto che il suo stesso nome ha un’attestazione fittizia: Saxo è un nome personale assai diffuso nelle iscrizioni runiche, nelle saghe e nelle cronache del tempo, mentre Grammaticus è un termine che gli è stata associato successivamente, per via della sua ampia erudizione della lingua latina, introdotta durante il processo di cristianizzazione delle popolazioni scandinave.
Tra le opere più rappresentative del medioevo scandinavo, il Gesta Danorum presenta una struttura descrittiva marcatamente riconducibile agli elementi della mitologia nordica, in cui il vento e le acque assumono una veste metaforica assai rilevante nel rappresentare il corso avventuroso e pericoloso delle vicende narrate.
Per i protagonisti, il destino diventa ago della bilancia tra rovina o successo, inteso non come conseguenza ineluttabile dell’imprevedibilità delle vicende, ma piuttosto come senso più profondo e complesso del presente, ponendo l’attenzione sul rapporto tra ciò che si vive e ciò che è stato vissuto e si ricorda.
La storiografia esposta nelle Gesta Danorum, così come più in generale quella dell’Alto Medioevo, è indirizzata più verso la spettacolarizzazione anziché verso la documentazione, innescando una drammatizzazione degli eventi tale da indirizzare il lettore verso la sfera dell’immaginazione piuttosto che verso quella del verosimile.
L’opera, come accade per gli altri componimenti della mitologia nordica, propone una connotazione evemeristica delle divinità per conciliare l’antica tradizione pagana scandinava con il “nuovo” cristianesimo professato. In tal senso, le figure delle due grandi famiglie di Déi, gli Asi e i Vani, vengono descritte come soggetti mortali divinizzati.
Nella stesura dei diversi libri che compongono l’intera opera, l’autore descrive degli stessi Déi in chiave evoluzionistica, passando da figura di fiere divinità nei primi libri, a “daemones” nel libro XIV, come a rimarcare un parallelismo con il passaggio dalla tradizione pagana al cristianesimo introdotto nella società scandinava.

Codex Regius (Edda Poetica)
L’Edda antica, ribattezzata successivamente Codex Regius è un’antologia che racchiude una serie di componimenti datati tra il IX e il XII secolo. Di questi scritti non si hanno informazioni certe circa gli autori, ma gli studiosi ne hanno attribuito la paternità a diversi poeti sotto il termine generico di Skald: da qui il nome di Edda Poetica.
Un elemento comune tra i diversi canti che compongono questa raccolta è la concezione del destino come qualcosa di predeterminato, sia per gli uomini, sia per gli Dèi.
Nonostante i componimenti siano stati scritti sotto l’influenza culturale del cristianesimo, già penetrato nelle regioni scandinave al momento delle trascrizioni dei singoli canti, questo elemento fa sì che restino vivi i caratteri più rappresentativi della antica tradizione pagana nordica.
Nei testi, se da una parte i Canti degli Eroi narrano epicamente le vicende degli uomini, dall’altra, nei testi vengono costantemente richiamate quelle figure, oltre agli Dèi, care alla mitologia nordica come nani, troll e giganti, e non mancano importanti riferimenti alle rune e più in generale alla sfera magico-sciamanica.
I primi due canti dell’Edda poetica sono generalmente considerati i più importanti e rappresentativi: Vǫluspá (La profezia della Veggente) e Hávamál (Discorsi dell’Alto),
Vǫluspá racconta un monologo visionario di una veggente della stirpe dei Giganti durante il quale descrive inizialmente l’origine del cosmo, per passare successivamente alla creazione degli uomini, qui rappresentata come elemento di instabilità nell’ordine cosmico, introducendo di conseguenza il caos derivante dall’affermarsi delle pratiche magiche tra gli uomini e dalla disparità di onori resi agli Dèi.
Il canto prosegue suggerendo il parallelismo con l’Apocalisse di Giovanni proveniente dalla tradizione cristiana, concetto di fine del mondo introdotto nell’opera con la narrazione della morte di Baldr, il dio della luce e culmina nella escatologia del Ragnarök e la successiva nascita di un nuovo mondo.
Il secondo canto del Codex Regius, Hávamál, il cui nome può essere tradotto come “Le parole di Odino”, è un componimento di 164 strofe suddivise in sette capitoli:
Gestaþáttr, il capitolo degli ospiti [strofe 1-80]; Mansǫngr, il capitolo degli uomini [strofe 81-95]; Billingsmeyarþáttr, il capitolo del corteggiamento di Odino [strofe 96-103]; Gunnlaðarþáttr, il capitolo della conquista di mjǫðr, la conoscenza poetica [strofe 104-110]; Loddfáfnismál, il capitolo in cui attraverso il simbolismo della cosmologia, si introducono i temi dei capitoli successivi, incentrati sulla sfera magico-rituale [strofe 111- 137]; Rúnatal, il capitolo in cui appaiono i primi simboli iniziatici per descrivere il sacrificio di Odino, legatosi all’albero del mondo Yggdrasill, per acquisire la conoscenza delle rune [strofe138-145]; Ljóðatal, il capitolo dei canti runici, in cui si espone in maniera simbolica l’idea dei poteri che questi canti possono trasmettere [strofe 146-164].
Questi canti a differenza degli altri scritti scaldici non hanno una connotazione di eroico o divino, ma si concentrano sulla figura del singolo individuo e della fama che egli stesso si costruisce, argomentando su principi di vita quotidiana come amicizia, moderazione e saggezza.
Alcuni interrogativi circa le origini di questo carme hanno suscitato diverse teorie in merito al fatto che si tratta di un’opera derivante dall’antica tradizione nordica o se sia stato influenzato dalla cultura classica di origine cristiana, se la sua provenienza sia islandese oppure norvegese, ma una sua approfondita analisi critica, suggerisce che gli scritti degli Hávamál siano la summa di dottrine che fondano le proprie radici nel paganesimo nordico.

Edda in Prosa
L’Edda in Prosa è un’opera attribuita allo storico erudito Snorri Sturluson, risalente al XIII secolo.
In questi scritti, leggenda e mito si fondono con la tradizione religiosa, in un unico modello presentato come prospettiva del passato, evidenziando l’influenza culturale derivante dal processo di cristianizzazione iniziato secoli prima.
L’elemento più interessante dell’Edda in Prosa è proprio il contesto a cui l’opera stessa fa riferimento: la società islandese, nata dalla colonizzazione dell’isola tra il IX e il X secolo, da parte di esuli norvegesi spinti oltre che dal desiderio di esplorare nuovi mondi e dalla brama di successo, anche per sfuggire alla nuova struttura sociale che si stava definendo sulle basi della nuova religione cristiana.
La società islandese era stata costituita sulla base dell’antica comunità norvegese, con i suoi modelli culturali, i suoi culti e le sue leggi. In questo contesto per più di un secolo furono tramandate le antiche tradizioni letterarie degli skaldi.
Considerando che l’Edda è stata concepita da Snorri Sturluson quasi due secoli dopo l’arrivo del cristianesimo in Islanda, è interessante notare come negli scritti si sia mantenuta la coesione culturale originaria pagana.
In Islanda il cristianesimo, soprattutto nella prima fase di inserimento nelle comunità locali, è stato inficiato nel suo vigore dogmatico a causa della sua stessa introduzione, imposta per interessi politici e soprattutto per essere stato accolto in una visione sostanzialmente ancora politeistica della sfera religiosa.
Probabilmente un termine in antico norreno per indicare il concetto proprio del mito non esiste, ma nel caso dell’Edda di Snorri Sturluson il termine più appropriato potrebbe essere “ricordo”. La memoria, intesa come mezzo di conferma della realtà, si interseca con il tempo del mito fino alla sua origine divina. Questa chiave di lettura suggerisce che concetto di memoria ha rappresentato per l’autore la dimensione più vicina alla figura del mito, soprattutto in un contesto culturale in cui le suggestioni erano definite da aspetti di credenze religiose opposte più nelle forme che non nei contenuti.

Saghe scandinave, memoria e identità collettiva
A completare il vasto panorama della letteratura medievale scandinava ci sono le Saghe, componimenti scritti a memoria di quell’identità collettiva che in qualche modo si voleva tutelare e conservare.
Le Saghe hanno suscitato da sempre un controverso dibattito in termini filologici, in merito alla loro stessa natura, tra coloro che le ritengono semplici storie di trasmissione orale e coloro che le considerano storie derivate da fonti scritte, come semplici creazioni artistiche, ma non utilizzabili per una ricostruzione storica.
Ancora oggi, varie ipotesi sulle origini di questi scritti alimentano il dibattito filologico, seppur con una maggiore consapevolezza della scarsità di informazioni certe, precedenti al XII secolo.
Il fatto che il sostantivo saga deriva dal termine segja, traducibile con il verbo dire, supporta l’ipotesi di un genere letterario basato su una storia “detta”, in quanto narrata e tramandata oralmente.
L’ingresso dei popoli scandinavi nel sistema culturale europeo, derivato dalla latinizzazione conseguente al processo di conversione al cristianesimo, ha rappresentato un elemento fondamentale per lo sviluppo della letteratura nordica. Ciò non significa che venissero scritti testi in latino anche in Islanda, ma nonostante la carenza di fonti documentarie, la nuova istituzione ecclesiastica ha avuto un delicato ruolo di mediatrice tra le tradizioni letterarie continentali e il contesto locale. Di conseguenza, le saghe, intese come opere letterarie frutto di accurate rielaborazioni scritte, assumevano un significato che andava verosimilmente oltre il mero intrattenimento, quale espressione di finalità di varia natura, come la legittimazione del potere di determinate stirpi o l’esaltazione di determinati valori condivisi nell’ambito delle comunità locali.
Gli studiosi fanno risalire le più antiche testimonianze di Saghe in forma scritta, attorno alla metà del XIII secolo, quali rielaborazioni di manoscritti più antichi, andati perduti nel tempo, spesso a causa di un naturale logoramento dovuto a non adeguate condizioni di conservazione.
Il termine saga, in epoca moderna, viene comunemente associato a forme narrative in prosa, che però si differenziano tra loro per argomenti, caratteristiche stilistiche e per differenti approcci all’elaborazione della memoria e alla ricostruzione storica. Generalmente, in base ai parametri storiografici più comuni, queste forme narrative vengono classificate in diversi gruppi:
Saghe dei Santi, agiografie tradotte principalmente dai modelli latini, in relazione ai canoni della Chiesa romana, il cui culto era diffuso nel continente europeo, mentre la questione delle traduzioni si complica per le figure di santi scandinavi, non sempre riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa;
Saghe dei Re, scritti di carattere storiografico, risalenti a partire dalla prima metà del XII secolo, in cui si narrano le vicende dei sovrani scandinavi e delle loro dinastie. Gli scritti di questa categoria presentano una esaltazione in particolare, delle figure dei re evangelizzatori, enfatizzando gli aspetti legati alla conversione delle popolazioni locali verso il nuovo culto del cristianesimo;
Saghe degli Islandesi, sono le più note nell’ambito di questo genere narrativo e si caratterizzano sulla base di parametri essenzialmente spaziali e temporali in quanto narrano, in uno stile prettamente realistico, le storie dei primi colonizzatori dell’Islanda, attorno dal 930, fino ai primi decenni dell’XI secolo, dopo il definitivo processo di conversione al cristianesimo. Alcune di queste saghe, ampliando gli orizzonti geografici, narrano le vicende legate ai vichinghi di Jomsborg, lungo le coste baltiche o agli insediamenti in Groenlandia e all’esplorazione verso ovest, nel Vinland.
Tra le opere più famose si annoverano il Libro dell’insediamento,Landnámabók, in cui sono narrate le storie dei primi coloni norvegesi stabilitisi in Islanda tra l’874 e il 930 e il Libro degli Islandesi, Íslendingabók;
Saghe dell’età contemporanea, racconti secondo uno stile realistico, della storia islandese dall’inizio del XII alla fine del XIII secolo. A differenza degli altri generi, queste saghe sono anch’esse il risultato di una elaborazione e ricostruzione letteraria di eventi storici, ma in questo caso, la narrazione si concentra su personaggi esistenti e contemporanei allo svolgimento degli stessi eventi raccontati.
Saghe dei vescovi, con uno stile tra storiografia e agiografia, narrano storie di vescovi islandesi vissuti tra il XII e il XIV secolo. La figura dei vescovi, nella nuova società scandinava cristianizzata, aveva un ruolo assai rilevante, in quanto si tratta di personaggi provenienti da potenti famiglie locali. Oltre ad essere guide religiose, erano veri e propri leader politici, protagonisti del mutamento sociale delle varie comunità;
Saghe del tempo antico, scritti ambientati nelle regioni germaniche in epoca precedente alla colonizzazione dell’Islanda. Il contesto geografico varia sensibilmente in relazione alle diverse tradizioni culturali delle aree continentali e scandinave. Il concetto di tempo antico, invece, trattandosi di un arco temporale compreso tra le prime migrazioni germaniche e l’epoca vichinga, risalta una disomogeneità di contenuti in funzione del materiale narrativo che va ad intrecciarsi con gli elementi del folklore nordico, dando spazio al sottogenere delle saghe leggendarie.
Saghe dei cavalieri, inizialmente sono traduzioni di opere narrative continentali, di matrice cortese ed eroica, come ad esempio la Saga di Tristano e Isotta, mentre sulla scia dell’impatto che queste hanno avuto sulla cultura islandese, tra il XIII e il XIV secolo, le saghe dei cavalieri iniziano a svilupparsi in un filone autonomo e originale, secondo canoni non realistici, ma basi su mondi di finzione.
Altri racconti, appartenenti a questo genere di saghe, si trovano nel Gesta Danorum di Saxo Grammaticus o in altri scritti a carattere eroico, di area inglese e tedesca. Ciò induce a pensare che se il corpus delle saghe del tempo antico circolava oralmente già durante il XII secolo, ma è tra il XIII e il XIV secolo che questo genere vive il suo periodo di massima diffusione, anche grazie all’influenza delle saghe dei cavalieri.

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