28 Settembre 2024
Radio Shadowzone non trasmette musica tramite flusso diretto. L'attività si concentra in talk show, podcast, eventi dal vivo tramite streaming esterni.

ART Breaking NEWS

LE PORTE DI YGGDRASILL
Mitologia ed Esoterismo
Il paganesimo nordico
La sfera religiosa degli antichi popoli norreni fonda le proprie radici nel neolitico, fino a consolidarsi nelle successive età del bronzo e del ferro. Si presenta, di conseguenza, molto articolata e complessa, in quanto è il frutto di radicali mutamenti culturali avvenuti nel corso dei secoli.
Il passaggio da una società nomade, la cui economia era basta sulla caccia e sulla raccolta di vegetali commestibili, verso una società stanziale, dove allevamento e agricoltura erano divenute le nuove attività principali di sostentamento, ha inevitabilmente comportato cambiamenti radicali nella sfera religiosa e nei rituali delle popolazioni, tanto da lasciar pensare ad un approccio naturalistico, legato, per evidenti motivi di sussistenza, ai cicli della natura e del mondo animale. Numerose testimonianze di queste concezioni trovano riscontro nella grande varietà di reperti raffiguranti animali totemici e simbolici, specialmente nell’ambito di riti cultuali. Si può pensare quindi che un forte legame uomo-natura era originariamente diffuso in un’area talmente vasta, che si estende dalle coste occidentali della Scandinavia fino alla Siberia e allo stretto di Bering. All’età del bronzo risale una vasta serie di testimonianze archeologiche e rupestri (1500 – 500 a.C.) come, ad esempio, il carro solare di Trundholm, in Danimarca, raffigurazione suggerisce un possibile collegamento con un antico culto del sole.
In generale, lo sviluppo culturale nelle zone scandinave deriva quasi completamente dalla tradizione germanica delle regioni continentali dove sfera religiosa e mitologia molto spesso rappresentano due facce della stessa medaglia.
La tradizione mitologica nordica fonda le sue radici su una concezione del mondo che descrive l’intera esistenza come una serie ciclica di eventi, replicata all’infinito. Dal caos derivato dalla fine del mondo sorgerà un nuovo ordine, un nuovo mondo e di conseguenza un nuovo ciclo.
I miti scandinavi, generalmente, si basano su racconti incentrati sulle imprese e sulle gesta di dèi o eroi sovrannaturali, frutto di una interpretazione evemeristica delle divinità, alla quale si aggiunge la narrazione di eventi direttamente collegati al Cosmo, alla sua origine, il suo ordinamento e la sua distruzione.
Seguendo questa chiave di lettura, il mito richiama gli schemi archetipi più “primordiali” in cui le azioni divine determinano gli equilibri del mondo e la sua inevitabile fine, alla quale né gli uomini né gli stessi Dèi possono sottrarsi.
Lo studio della mitologia nordica è particolarmente difficile a causa del fatto che le testimonianze scritte risalgono al periodo successivo la conversione al cristianesimo, soprattutto se si tiene conto del fatto che le iscrizioni runiche su legno, su osso o su pietra non erano adatte per manoscritti lunghi e dettagliati. Le fonti primarie più affidabili, per tanto, giungono da reperti archeologici di epoche differenti.
Al di là di una corretta interpretazione degli elementi provenienti dalle diverse fonti letterarie o da reperti archeologici, emerge tutta la complessità dell’antica concezione del mondo da parte delle popolazioni nordiche. Complessità che si lega non solo alle diverse componenti sociali e alla diversa concezione di vita, ma anche alla tradizione religiosa ben radicata nelle diverse comunità.
Nella mitologia nordica, l’universo si sviluppa su due differenti piani dimensionali gravitanti attorno all’albero cosmico Yggdrasill, la cui rappresentazione iconografica più comune, lo vede affondare le sue radici nel mondo più sotterraneo per erigersi su tutta la terra, fino a coprire il cielo. La simbologia dell’Albero, inteso come essere capace di incarnare l’esistenza e di trasmetterne la forza della vita risale alla più antica età del bronzo.

La Creazione del Mondo
Secondo la tradizione nordica, all’origine del mondo c’era il Ginnungagap, l’abisso alle cui estremità esistevano due mondi. A nord sorgeva Niflheimr, il regno del ghiaccio, al centro del quale si trova il pozzo Hvergelmir, da dove hanno origine i fiumi cosmici Elivágar. A sud, invece, sorgeva Múspellsheimr, il regno del fuoco.
Un passo del Gylfaginning (la prima parte dell’Edda in Prosa di Snorri Sturluson) narra che i fiumi Elivágar proseguendo il loro corso molto distante dalla propria sorgente, finirono per creare una coltre di ghiaccio dalla quale scaturì una brina, mentre da sud giungevano venti caldi dal fuoco di Múspellsheimr.
Dall’incontro tra la fredda brina proveniente da nord e i caldi venti del sud ebbero origine la prima forma di vita: il gigante Ymir, progenitore della sua stirpe (dal quale si presume derivasse un altro gigante primordiale Bölþorn) e la mucca Auðhumla dalla quale lo stesso Ymir traeva nutrimento.
La storia della creazione del mondo continua con la narrazione della nascita del primo uomo da alcune repi ghiacciate leccate da Auðhumla: il primo uomo fu Bori.
La mancanza di alcuni elementi nelle fonti letterarie non permette una ricostruzione dettagliata della narrazione, lascando alcuni interrogativi sulla stessa creazione del mondo, ma gli episodi salienti possono essere ricondotti alle seguenti informazioni.
Bori ebbe un figlio, Borr, il quale si unì Bestla, figlia del gigante Bölþorn, con la quale concepì tre figli: Odino, Vili e Vé.
Questi uccisero il gigante Ymir, il cui sangue affogò l’intera stirpe dei giganti del ghiaccio. Si salvò solo Bergelmir e la sua famiglia che diede vita ad una nuova stirpe di giganti che furono confinati nel regno di Jötunheimr.
I tre Dèi, figli di Borr, portarono il corpo di Ymir negli abissi e da qui ne trassero gli altri elementi che costituirono il mondo: dai resti del suo corpo vennero creati i mari e gli oceani, la terra, le pietre e le montagne e infine la volta celeste.
Dalla carne del gigante uscirono i vermi, ai quali fu dato l’intelletto e un aspetto antropomorfo cosicché furono creati i Nani, dimoranti nel sottosuolo. I quattro capostipiti furono inviati ai quattro angoli della terra, in relazione ai punti cardinali, per poter sorreggere il cielo: Norðri (nord), Suðri (sud), Austri (est) e Vestri (ovest).

Gli Dèi costruirono nell’alto della volta celeste il regno di Ásaheimr, dove viveva la stirpe degli Æsir (Asi), all’interno del quale si trovava la loro dimora Ásgarðr. La seconda stirpe delle divinità norrene, i Vanir (Vani) risiedevano, invece, nel regno di Vanaheimr.
Dal sacrificio del gigante Ymir restarono le sopracciglia, che gli Dèi utilizzarono per creare un grande recinto destinato ad accogliere gli uomini e che prese il nome di Miðgarðr, situato all’interno di Mannheimr, la terra degli uomini.
Nelle fonti letterarie, poco spazio trovano le narrazioni circa la creazione degli uomini. La versione più accreditata riporta che i tre Dèi, Odino, Vili e Vé si recarono sulla riva del mare dove trovarono due tronchi d’albero che trasformarono in un uomo che prese il nome di Askr e una donna che chiamarono Embla. Odino donò loro lo spirito e la vita, Vili gli donò la saggezza, mentre Vé gli donò forma, parola, vista e udito.
A completare l’universo della mitologia nordica ci sono Álfheimr, il regno degli Elfi e Svartálfaheimr, il regno dei Nani, dove vennero confinati anche gli elfi oscuri.
Infine, nella parte più remota dell’universo si trova Helheimr, regno dei morti su cui governa la dea Hel, parallelamente alla tradizione cristiana, considerato il regno degli inferi.

Yggdrasill, l’albero cosmico
Nella rappresentazione iconografica tradizionale, Yggdrasill, l’albero cosmico fulcro dell’universo, sorregge i nove mondi nati dal sacrificio del gigante primordiale Ymir.
E' è descritto come un frassino, luogo in cui ogni giorno si tiene il Consiglio degli Dèi, situazione che ricorda il Thing, le assemblee che si svolgevano tra i clan vichinghi.
La sua struttura si erge maestosa tra i nove mondi, i suoi rami si stendono lungo la volta celeste coprendo il cielo, mentre le radici su cui è sorretto si spingono in tre diverse direzioni, ognuna delle quali cela una fonte.
Una radice si estende verso il regno di Niflheimr, dove si trova la fonte di Hvergelmir da dove nascono i fiumi del mondo, gli Elivágar. Un’altra radice si inerpica verso lo Jǫtunheimr, il regno dei giganti, dove si trova la fonte della saggezza e della sapienza che prende il nome del gigante che la custodisce, Mímir.
Qui, fonti contrastanti tra l’Edda di Snorri Sturluson, e le storie narrate nel Codex Regius, inducono a pensare un possibile errore di interpretazione, relativo all’episodio che narra di Odino che sacrificherebbe un occhio per poter bere nel corno Gjallarhorn, attribuito allo stesso gigante Mímir o al dio Heimdallr.
La terza radice di Yggdrasill si trova nel regno degli Æsir, vicino Urðr, la fonte del destino. Questa fonte è anche la dimora delle tre norne, Urðr (colei da cui la stessa sorgente prende il nome), Verðandi e Skuld le quali hanno il compito di prendersi cura dell’albero cosmico, irrorandolo con l’acqua della fonte, Le norne sono creature mitologiche di diversa natura, alcune hanno origine divina, altre discendono dalle stirpi elfiche, altre ancora appartengono alla famiglia dei nani. Esse determinano il destino degli uomini e lo scorrimento delle loro vite.
Da quanto descritto nelle fonti “eddiche” Yggdrasill è abitato da molti animali, tra cui un’aquila annidata sui rami più alti e su di lei siede il falco Veðrfölnir. Lungo la radice di Niflheimr trova nascondiglio la serpe Níðhöggr. Lelenco continua con lo scoiattolo Rararoskr, i quattro cervi Dáinn, Dvalinn, Duneyrr e Duraþrór, la capra Heidhrun, il gallo Víðópnir il cui canto annucerà quello che viene definito il crepuscolo degli dèi.

Ásgarðr
La dimora degli dèi della stirpe degli Asi, situata nel regno di Ásaheimr, custodisce le dimore degli dèi, qui organizzate come residenze indipendenti, richiamando la struttura organizzativa del feudalismo germanico.
Nella dimora di Odino, Glaðsheimr, fu creata la stanza del Valhalla, il paradiso dei guerrieri caduti con onore in combattimento. Essi sono chiamati Einherjar e secondo la tradizione nordica, ogni giorno si allenano nell’arte della guerra, fino al giorno in cui combatteranno al fianco di Odino contro le forze del male.
A Odino, inoltre, sono consacrate due guerriere, famose per il loro impeto combattivo: i Berserkir, il cui stato mentale durante le battaglie li rendeva immuni al dolore e gli Úlfheðnar, soliti andare in battaglia coperti da pelli di lupo.
In questo regno sono presenti anche le dimore delle altre divinità più importanti del pantheon norreno. Freyja risiede a Folkvangar, Njörðr vive nel palazzo di Nóatún, Frigg dimora in Fensalir, la dea Saga abita nel palazzo di Sokkvabekkr, il dio-arcere Ullr vive nel palazzo Ydalir, Thor possiede il regno di Þrúðvangar e la sua dimora è nel palazzo di Bilskírnir proseguendo così per tutta la stirpe degli Asie dei Vani che sono stati inviati ad Asgard per sugellare la pace tra le due famiglie di divinità.
Ad Asgard, infine, fu creato il Bifrost, un ponte che può rappresentare un chiaro riferimento all’arcobaleno, sia per i suoi colori (verde, blu e rosso) sia per la sua funzione di collegamento tra il regno degli Dèi e la terra degli uomini.
A protezione del Bifrost è posto il dio Heimdallr, al quale fu dato il compito di evitare che i giganti possano raggiungere le dimore degli Æsir. Nella narrazione mitologica, il Bifrost cederà a causa dei giganti di fuoco provenienti da Múspellsheimr, nella battaglia finale del Ragnarok.

L’aldilà nella mitologia norrena
Per i popoli nordici la concezione di aldilà aveva diversi significati in qualche modo riconducibili al concetto di onore ed eroismo. In tal senso, uno degli elementi più suggestivi è proprio il paradiso degli eroi caduti in battaglia, la sala del Valhalla, nella dimora di Ásgarðr.
Nella cultura nordica la morte sul campo di battaglia diviene oggetto di esaltazione e i caduti troveranno un aldilà molto diverso dai morti comuni, destinati all’Helheimr, il regno governato dalla dea Hel.
Tenendo conto del fatto che le fonti scritte risalgono al periodo successivo a quella che viene indicata come “epoca vichinga” e sono frutto di un processo culturale legato alla conversione al cristianesimo, la concezione di aldilà risente inevitabilmente della formazione degli stessi autori e il dualismo Valhalla - Hel potrebbe essere interpretato come un richiamo alla concezione di paradiso per la religione cristiana.
Un’altra chiave di lettura della mitologia nordica, suggerisce che il Valhalla, inteso come dimora in cui gli eroi vengono accuditi dalla Valchirie, sia il luogo in cui Odino stesso si presta a reclutare i guerrieri prescelti, di cui circondarsi per lo scontro finale del Ragnarok, contro le forze del male.
Al contrario, l’Helheimr presenta dei parallelismi con l’Ade della mitologia greca e viene descritto come un luogo ameno e dai toni cupi e tetri, circondato dalla nebbia, dove confluiscono alcuni fiumi cosmici, gli Elivágar.
Ricordando l’estrazione cristiana degli autori dei testi di mitologia nordica, molto probabilmente la natura originaria del regno di Hel è stata alterata e modellata, in qualche modo, secondo la narrazione dell’inferno cristiano. Secondo questa interpretazione, l’Helheimr viene presentato come luogo in cui non giungono solo coloro che sono defunti per vie naturali (vecchiaia o malattia), ma vi dimorano anche i malvagi e gli assassini che affiancheranno le forze del male che si scateneranno durante il Ragnarok.
Altri elementi comuni alle tradizioni celtiche e slave, costituiscono la variegata concezione di aldilà della mitologia nordica, come il Glæsisvellir, rappresentazione dell’aldilà per il regno dei giganti di roccia, lo Jǫtunheimr.
Infine, nella mitologia nordica anche il mare assume una veste oscura, come personificazione dei pericoli che possono rivelarsi fatali per gli esseri umani. Qui, la divinità Rán, moglie del gigante e re del mare Ægir, accoglie con la sua rete i morti annegati, mentre le sue figlie rappresentano le onde che mettono alla prova i navigatori, durante le tempeste.

Le stirpi divine, gli Æsir e i Vanir
Nella mitologia nordica, il pantheon delle divinità è caratterizzato da una interpretazione evemeristica dei singoli Dèi e si divide principalmente in due diverse stirpi: gli Æsir e i Vanir.
Nell’Ynglinga saga di Snorri, gli Æsir provengono dall’Asìà, la loro terra di origine è Ásaheimr dove si trova la loro dimora Ásgarðr (recinto degli Asi) e qui dodici sacerdoti (díar o drótnar) presiedevano i solleni sacrifici ed erano allo stesso tempo coloro a cui spettavano le decisioni dell’assemblea. Solo successivamente, secondo una chiave di lettura evemeristica, i sacerdoti furono divinizzati dai loro sudditi.
I Vanir, invece, sono la stirpe abitante del Vanaheimr, ben distinta dagli Æsir, sia per la loro struttura sociale, sia per la loro funzione legata alla conoscenza del futuro e alla loro padronanza nelle arti magiche. Secondo la Saga degli Yinglingar, sono originari della regione del Don, nella zona sud-occidentale della Russia europea.
La dicotomia tra le due famiglie di Dèi si presta ad una chiave di lettura che vede nelle due stirpi l’incarnazione di alcuni aspetti della vita umana, dando una descrizione evemeristica delle stesse divinità.
Da un lato gli Æsir rappresentano l’esplosione di forze vitali che trovano la loro massima espressione nell’arte della guerra e nel furore, dall’altro i Vani sono presentati come coloro che elargiscono ricchezze agli uomini, esponenti della fecondità e difensori della pace e dell’armonia.
Uno degli episodi più importanti della mitologia nordica è la guerra tra queste due stirpi del pantheon norreno.
La storia racconta che la guerra, innescata dalle azioni malvage di Gullveig, una strega appartenente alla stirpe dei Vanir, terminò con uno scambio di divinità tra le due famiglie a suggellare un nuovo ordine cosmico che gettasse le basi per una duratura protezione agli esseri umani.
Dai Vani giunsero ad Ásgarðr , il dio Njörðr e i suoi figli Freyr e Freyja, i quali furono da subito eletti sacerdoti (díar o drótnar), mentre Asi inviarono nel regno di Vanaheimr le due divinità Mímir e Hœnir. Quest’ultimo fu eletto capo dei Vanir, ma durante le assemblee (Thing) demandava continuamente ad altri la scelta da intraprendere, così i Vani si sentirono traditi dagli Asi e di risposta decapitarono il più saggio dei due, Mímir, e inviarono la sua testa a Odino. Quest'ultimo, per evitare che la testa di Mímir non si decomponesse la spalmò con alcune erbe, lanciò incantesimi per renderla potente e la conservò per apprendere dalla sua saggezza.
La distinzione tra queste due famiglie di Dèi e soprattutto lo scontro che li ha visti combattersi li uni con gli altri, si presterebbe ad una interpretazione di un contrasto tra due concezioni di vita o anche tra diverse componenti di una stessa società, riportando alla mente il rapporto conflittuale tra individualismo e senso di appartenenza alla sippe.

Il Pantheon norreno – gli Æsir
Odino, durante la creazione del mondo diede agli uomini spirito e vita, ha poi raggiunto la conoscenza tramite un processo iniziatico immolandosi a sé stesso, motivo per cui è considerato padre degli uomini, ma anche degli dèi.

Frigg, moglie di Odino e madre di Baldr, secondo le fonti letterarie potrebbe essere una divinità germanica legata al concetto di amore, proveniente dalle zone continentali del centro-nord Europa.

Sága, divinità di cui si hanno scarse notizie dalle fonti letterarie, è stata identificata come un alter-ego di Frigg, anche in virtù del suo nome, traducibile come “colei che vede”, come richiamo alla conoscenza del destino, prerogativa proprio della dea Frigg.

Týr, nella tradizione romana viene accostato a Marte, il dio della guerra, per le sue doti di valoroso guerriero in battaglia, mentre nella tradizione nordica viene associato alla runa a foma di lancia, Tiwaz, che nel fuþark a 16 simboli viene identificata con lo stesso nome della divinità.

Ullr, descritto come abile arciere, è scarsamente nominato nelle fonti letterarie e l’etimologia del suo nome suggerisce l’interpretazione dal gotico wulþus, dall'anglosassone wulðor o dal latino vultus, termini che ne risaltano le qualità di splendore e gloria, ragione per cui viene associato a Odino.

Hœnir, divinità che appare di secondo piano nelle fonti letterarie, viene ricordato più per le sue qualità di intelletto e saggezza che non per abilità di combattimento, tanto da essere inviato alla famiglia dei Vani, al termine della guerra tra le due stirpi divine.

Heimdallr, vive nella fortezza di Himinbjörg, a ridosso del Bifrost da dove svolge la funzione di guardiano della dimora degli Dèi. Secondo la narrazione del Ragnarök, allo scoccare dell’ora fatale in cui si scontreranno le forze del bene e quelle del male suonerà il corno di Gjallarhorn, udibile da tutti gli altri mondi.

Thor, insieme a Odino è probabilmente la divinità più conosciuta dell’intero pantheon nordico ed è associato all’idea di forza. Questa prerogativa gli è valsa la denominazione di “dio del tuono” e il parallelismo con altre divinità della mitologia indoeuropea come Indra per l’induismo, Taranis, per la tradizione celtica o Giove, per l’antica religione romana. La sua venerazione è molto più diffusa in Islanda, dove si rifugiarono coloro che volevano salvaguardare l’antica tradizione nordica, contro la sempre più invasiva conversione al cristianesimo, come narrato nel Libro dell’insediamento.

Sif, moglie di Thor, nell’Edda di Snorri viene presentata come un’indovina (a marcarne l’origine prettamente evemeristica) di nome Síbíl. Dalle fonti sono giunte scarsissime notizie a suo riguardo, mentre il suo nome può essere tradotto con il termine “parente”.

Baldr, figlio di Thor e Frigg, viene presentato nell’Edda di Snorri come un dio saggio e di notevole eloquenza. Verrà ucciso involontariamente dal cieco dio Höðr, ingannato da Loki, con una freccia di vischio. Dopo essere sceso nel regno di Hel, tornerà nel nuovo mondo a conclusione del Ragnarök, per regnare nel nuovo ciclo cosmico.

Nanna, di questa divinità si hanno notizie contrastanti dalle fonti dirette. Nell’Edda di Snorri viene presentata come moglie di Baldr e secondo la narrazione morì di dolore durante il rogo funerario dello sposo. Nel Gesta Danorum, invece, è presentata come una principessa promessa sposa al dio Höðr.

Forseti, figlio di Baldr e Nanna, è considerata una divinità pacificatrice nelle dispute, dall’etimologia del suo stesso nome, traducibile come “colui che presiede”.
La sua dimora viene presentata come “il miglior tribunale per gli uomini e per gli dèi”.

Höðr, è il dio cieco che, ingannato da Loki, uccide involontariamente Baldr e sarà a sua volta giustiziato da Váli per vendetta. La sua cecità è stata interpretata come uno strumento delle forze del male per sopraffare Baldr, comunemente considerato un dio luminoso.

Rindr, altra moglie di Odino, seppur conquistata con la magia, nonché madre di Váli. Anche in questo caso, le informazioni provenienti dalle fonti letterarie sono contrastanti: a differenza della narrazione eddica, nel Gesta Danorum, viene presentata come una principessa di origine rutena.

Váli, descritto come un abile combattente, la tradizione narra che sia venuto alla luce con lo scopo di vendicare il dio Baldr. È tra coloro che sopravviveranno al Ragnarök e regnerà nel nuovo ciclo di vita del mondo.

Viðarr, è un altro figlio di Odino ed è considerato tra i più forti dopo Thor. Secondo la narrazione del mito avrà il compito di vendicare il proprio padre dopo che questi sarà ucciso dal lupo Fenrir durante lo scontro finale. Anche lui è tra coloro che sopravviveranno al “crepuscolo degli dèi”, per ricostruire il nuovo mondo che ne risorgerà.

Bragi, è il dio dell’arte poetica e sue prerogative principali sono la saggezza, l’ottima abilità nell’eloquenza. La scarsezza di informazioni in merito ad un suo culto suggerisce che si tratti della divinizzazione in chiave evemeristica dello scaldo Bragi Boddason, vissuto nel IX secolo. Inoltre, è interessante notale l’affinità del suo nome bragr, interpretabile come guerriero, principe o signore, al quale è possibile associare il termine bragarfull, la coppa usata durante i rituali, soprattutto quelli di natura funeraria, sulla quale veniva prestati solenni giuramenti.

Iðunn, secondo il mito è colei a cui sono affidate le mele dell’eterna giovinezza di cui gli dèi si nutrono per non invecchiare. È considerata una dea delle forze rigeneratrici.

Loki, nonostante appartenga alla famiglia degli Æsir, è una divinità dalla natura controversa a causa della sua progenie, in quanto nato da due demoni: Fárbauti e la sua consorte Laufey, chiamata anche Nál.
Per la sua prerogativa di dio dell’inganno, incarna la figura del Trickster, quell’essere che nella tradizione del mito e del folklore popolare è descritto come uno scaltro mentitore, dedito ad una condotta amorale, fuori dalle regole della comunità. Dalla gigantessa Angrboða avrà tre figli: il lupo Fenrir, il serpente Miðgarðsormr e Hel, la guardiana del regno dei morti, con i quali parteciperà al Ragnarök, tra le fila dei malvagi.

Il Pantheon norreno – i Vanir
Njörðr, viene inviato nella famiglia degli Æsir come scambio insieme ai suoi figli Freyr e Freyja per porre termine al conflitto tra le due stirpi divine. È il dio del mare e a lui sono associati gli elementi del vento e del fuoco. Nella Saga degli Ynglingar è tra le divinità che sopravviveranno al Ragnarök e succederà a Odino nel nuovo ciclo.

Skaði, appartenente alla famiglia dei giganti dello Jǫtunheimr è annoverata tra le divinità per aver sposato prima Njörðr e dopo la loro separazione divenne sposa di Odino. Nella descrizione di Snorri è una dea che scia per le montagne, andando a caccia di animali selvatici, elemento che suggerisce un accostamento alla dea Diana, appartenente alla sfera religiosa latina e romana.

Freyr, dio della fecondità e delle ricchezze degli uomini, secondo la ricostruzione dell’Edda, la sua dimora si tra a Álfheimr, la terra degli elfi. In Svezia è considerato tra le divinità principali, tanto che nella Saga degli Ynglingar la sua dimora è ad Uppsala, il più importante luogo di culto religioso svedese. Molti richiami alla sua figura si hanno anche in altre fonti, come il Gesta Danorum, dove viene menzionato come il dio Frø, oppure Fróði, il re di Danimarca, come il re degli Heaðobard , personaggio del Beowulf o nella Saga degli Skjöldungar, nella Saga dei Valligiani di Vatnsdalr e nella Saga di Hrafnkell.

Lýtir, divinità di cui si hanno scarsissime informazioni, citata esclusivamente nel Flateyjarbók, un importante manoscritto medievale islandese. Il suo nome compare in alcuni toponomi svedesi e potrebbe derivare dal verbo lýta, traducibile in un’accezione negativa come contaminare o biasimare, suggerendo che, trattandosi di un manoscritto di epoca successiva alla conversione delle popolazioni norrene al cristianesimo, l’autore volesse in qualche modo screditare una divinità ritenuta pagana.

Gerðr, anch’essa appartenente alla stirpe dei giganti. Nel capitolo dello Skírnismál, nell’Edda poetica, si narra del suo matrimonio con il dio Freyr, motivo per cui viene collocata nella famiglia dei Vanir. Il suo nome può essere tradotto come “recinto”, suggerendo affinità con altre dee della fertilità. Inoltre, la sua unione con il dio Freyr si presta alla rappresentazione della ierogamia tra il cielo e la terra.

Freyja, una delle divinità il cui culto è tra i più diffusi dell’intero pantheon nordico. Fu mandata anch’essa tra gli Æsir, insieme a suo padre Njörðr e suo fratello Freyr, per suggellare la fine del conflitto tra le due stirpi. La sua dimora è il Fólkvangr, il luogo dove vengo condotti i caduti in battaglia non accolti nel Valhalla. È considerata dea della fertilità e della lussuria e una sua prerogativa è la maestria nelle arti magiche.

Óðr, divinità minore appartenente alla famiglia dei Vani, tanto che nessuna delle fonti letterarie ne menzione un vero e proprio culto, ma il mito si limita a descriverlo come un instancabile viaggiatore. Il suo nome è traducibile con il termine “furioso” ed è spesso accostato con la figura di Odino, facendo riferimento al concetto di furore divino.

Il Pantheon norreno – divinità minori
Fulla, Gná e Hlín, appartengono alla famiglia degli Æsir e sono le tre ancelle di Frigg. La prima partecipava alle riunioni segrete e si occupava dello scrigno della sua padrona. La seconda veniva inviata in giro per il mondo per sbrigare le faccende della stessa Frigg. Infine, Hlín aveva il compito di proteggere gli uomini.

Eir, appartiene alla famiglia degli Æsir, la sua prerogativa è l’abilità nelle scienze mediche. Il suo nome, traducibile con i termini di grazia e aiuto, suggerisce una stretta connessione con le Alaisiagae, divinità femminili citate su due iscrizioni sacre che si trovano lungo il Vallo di Adriano, presso Housesteads, in Gran Bretagna.

Gefjun, appartiene alla famiglia degli Æsire viene menzionata nel Gylfaginning (L’Inganno di Gylfi), uno dei capitoli dell’Edda di Snorri Sturluson. In questa opera la sua figura viene associata al mito sull’origine del lago Mälaren, nei pressi di Stoccolma, in Svezia.

Sjöfn, divinità femminile appartenente anch’essa alla famiglia degli Æsir, è considerata la dea dell’amore, sentimento che infonde nello spirito degli uomini e delle donne.

Þorgerðr Hölgabrúðr e Irpa, secondo diverse fonti, sono divinità di secondo piano, il cui culto era diffuso nella regione norvegese di Gudbrandsdalen, ma a causa della loro conoscenza della magia nera, sono state spesso considerate alla stregua di demoni, anziché dee.

Nella mitologia nordica vengono descritte altre figure di minore rilevanza come Lofn, Vár,Vör, Syn, Snotra e Njörun, tutte appartenenti alla stirpe degli Æsire le loro prerogative sono legate ai valori della giustizia.

Esseri sovrannaturali della mitologia nordica
Dísir, è un termine generico per indicare divinità femminili di secondo piano, come dee della fecondità o spiriti protettori, ognuna con una propria prerogativa.
Il loro culto è descritto in varie fonti, come la Historia Norvegiae, la Saga di Hervör, o le DísaÞing, termine con cui si designano le assemblee delle Dísir.
Seppur le fonti presentano differenti dettagli nella narrazione del mito, sono comunque accomunate dalla testimonianza della celebrazione di sacrifici in onore di queste figure sovrannaturali. In linea con la tradizione germanica, la loro funzione è strettamente collegata al concetto di Sippe, in virtù del loro soccorrere le partorienti e proteggere coloro che ne facevano parte, ricorrendo anche alle arti magiche se fosse stato necessario.

Norne, sono le dee del destino* che incarnano l’ineluttabilità del fato, come espressione del legame tra gli esseri umani e il cosmo. Nel capitolo della Predizione della Veggente (Vǫluspá), nell’Edda del Codex Regius, sono presentate come le tre creature che dimorano presso l’Yggdrasill, l’albero cosmico, vicino la fonte di Urðarbrunnr.
Prendendo spunto dall’idea che gioie e dolori si alternano nel corso della vita, le norne sono state citate spesso nelle fonti letterarie, sia nella poesia eddica, sia in quella scaldica, con un approccio narrativo fondato sul concetto che ci siano norne buone e norne malvagie. Concetto amplificato in seguito all’avvento del cristianesimo tra i popoli nordici, che le ha viste relegate alla stregua di creature demoniache, dedite alla stregoneria.

Valchirie, secondo la tradizione nordica sono le figlie adottive di Odino, coloro che scelgono e raccolgono i caduti in battaglia da portare nel Valhalla, prerogativa che le rende “spose spirituali” degli eroi che diverranno Einherjar, i guerrieri che affiancheranno Odino nella battaglia finale del Ragnarök.
In un certo senso, anche le Valchirie possono essere considerate dee del destino, non di tutti gli uomini, ma per i guerrieri più valorosi e gli eroi.
Sono state descritte come creature lucenti, a volte nelle sembianze di donne, altre volte si presentano sotto le sembianze di cigni. Per le loro abilità di guerriere sono anche state rappresentate come creature armate di tutto punto, la cui prerogativa più caratteristica è quella di essere in grado di cavalcare nell’aria e sulle acque.

Elfi, il loro nome nell’antica lingua nordica è Álfar e, rispetto alle altre figure sovrannaturali, sono considerati una stirpe di natura divina, vicina agli Asi e ai Vani, tanto che in alcune fonti eddiche si narra di sacrifici in loro onore. Il culto degli Elfi, così come viene descritto in alcune saghe, rimanda quello delle Dísir: si tratta di sacrifici di carattere privato che lasciano interpretare la figura degli Elfi come spiriti dei morti e protettori della famiglia e della fecondità della stirpe.
Come accade per le altre creature sovrannaturali, la tradizione della mitologia nordica presenta richiami alla dicotomia tra bene e male, separando due distinte famiglie: ljósálfar, spiriti della luce abitanti dell’’Álfheimr e i Dökkálfar, gli elfi scuri, le cui caratteristiche gli avvicinano alla stirpe dei nani, la cui dimora era lo Svartálfaheimr.
Secondo la tradizione, gli elfi bianchi, spiriti della luce, sono strettamente collegati alla natura, dimorano nei boschi e a loro era dedicato in particolare un rito che si teneva nella seconda metà dell’autunno.
Nonostante le fonti letterarie provengano dalla ricostruzione di monaci cristiani, l’introduzione della figura degli elfi scuri non è da ricondurre specificatamente al processo di conversione al nuovo credo religioso cristiano, in cui in quanto il culto degli Elfi era annoverato nel folklore germanico fin dall’antichità.

Giganti, sono esseri primordiali alle origini della creazione, dotati dell’antica e profonda conoscenza, dai quali discendono le stirpi divine, incarnano le forze del caos, divenendo nemici degli Dèi a cui essi stessi hanno dato vita.
Costituiscono una delle figure più complesse tra le creature sovrannaturali della mitologia nordica, in quanto rappresentano la forza creatrice e allo stesso tempo devastatrice della natura.
Le fonti letterarie narrano di tre diverse categorie riconducibili agli elementi della terra (giganti di roccia), del fuoco e del ghiaccio, suggerendo un collegamento con gli eventi catastrofici della natura come frane, terremoti, mari ghiacciati o eruzioni vulcaniche.
Tali figure vengono descritte come creature prive di ragionevolezza e razionalità, scaturite proprio dalla loro essenza primordiale, in contrasto con gli Dèi e gli eroi che li combattono per mantenere l’ordine e l’equilibrio nell’universo.
Nella tradizione più tarda, legata alla conversione al nuovo credo religioso del cristianesimo, la figura dei Giganti viene esasperata, dandone un’accezione marcatamente negativa, ponendo queste figure come esseri ostili agli uomini, dall’aspetto sempre più grottesco e demoniaco, suggerendo la più appropriate interpretazione del termine Tröll, dall’aspetto di orchi.

Nani, nell’antica lingua norrena Dvergar, sono descritti come figure ctonie, le cui dimore si trovano nel sottosuolo. Le loro origini risalgono al mito della creazione, in quanto sono tra le creature nate dal sacrificio del gigante Ymir e vengono descritti come esseri intelligenti e dall’aspetto antropomorfo.
Il loro accostamento con l’elemento della terra e la loro prerogativa ctonia li mette in stretta correlazione con il mondo dei morti, secondo la credenza che i defunti dimorino nei tumuli.
Nella narrazione del mito germanico hanno anche una funzione eziologica, grazie alle loro conoscenze delle rune, alla loro abilità nella lavorazione dei metalli e alla forgiatura, nonché al loro ruolo nell’episodio della creazione, in cui viene affidato a rappresentati della loro stirpe il compito di sorreggere la volta celeste nei quattro punti cardinali.
Nella mitologia nordica sono considerate figure iniziatiche, una qualità che li pone precettori di grandi eroi e forgiatori di spade o altre armi e utensili avvolte da poteri magici, tanto che gli stessi Dèi beneficiano dei loro doni che diventano attributi fondamentali di ciascuno di loro.

Spiriti dei luoghi
Un aspetto particolare della tradizione nordica riguarda la figura degli spiriti. Nella fattispecie, si tratta di spiriti legati a specifici luoghi per i quali rivestono una particolare importanza.
Le fonti letterarie narrano dei Landvœttir, spiriti che dimorano nei luoghi prima dell’arrivo degli uomini, come riportato nel Landnámabók, il Libro dell’insediamento, legato alle saghe islandesi o nella Saga di Egill.
Un’altra figura che è perdurata a lungo nel folklore scandivano è quella degli spiriti domestici, cioè spiriti che dimorano nella casa dove abitavano da vivi, ai quali ne viene attribuita la funzione di protettori.
Infine, gli spiriti marini, tradizione che fonda le sue radici nel considerare i mari e gli oceani facenti parti dell’oscurità, abitati da spiriti sovrannaturali, spesso malvagi e di conseguenza un pericolo per i navigatori. La figura per eccellenza di questi essere è il serpente Miðgarðsormr, figlio di Loki, che nell’immaginario medievale ha suggerito la classica icona dei mostri marini, rappresentati come serpi o draghi, mostri collegati alla figura dei giganti Ægir e sua moglie Rán.

Spiriti protettori e aspetti spirituali
Altre creature sovrannaturali sono narrate nelle saghe scandinave, come le figure degli spiriti protettori che proteggono gli uomini e li accompagnano nel viaggio della vita terrena. Questi spiriti sono indicati con i nomi fylgja, hamingja e vörðr.
Il concetto di fylgja può essere correlato a quello dell’hugr, l’essenza spirituale degli uomini che, secondo la tradizione del mito, si può manifestare sotto svariati aspetti al di fuori del corpo, come un animale, nebbia o fumo, per trasmette un messaggio o un presagio.
Il concetto di hamingja riguarda aspetti legati alla fortuna e, nonostante in alcuni casi si può sovrapporre alla fylgja, esprime una connotazione meno individuale di protezione, ampliando la sua azione alla famiglia.
Il vörðr, invece, rappresenta l’idea di uno spirito la cui azione è legata alla protezione nello svolgimento delle pratiche magiche, come riportato nella saga di Erik il Rosso.
Infine, particolarmente legato agli aspetti spirituali, hugr ne raccoglie l’essenza esprimendone il carattere interiore attraverso animo, mente, cuore, sentimento, desiderio, pertanto si può manifestare in maniera diversa a seconda delle circostanze. Di conseguenza è l’elemento che può determinare la qualità della vita dei singoli individui.
Secondo la tradizione del mito, se un individuo è naturalmente dotato di particolari qualità l’hugr può trascendere nella sfera sovrannaturale, assumendo altre forme, che nell’antica lingua nordica prende il nome di hamr. Solitamente questo concetto di trasformazione è espresso con il termine hamask, mentre hamfar indica il viaggiare sotto altro aspetto e hamrammr è un termine utilizzato per indicare coloro che possono apparire sotto diversa forma.
Il termine hamr è riconducibile alla radice indoeuropea traducibile con il verbo “coprire”, elemento che suggerisce l’origine della credenza del folklore nordico legata all’uso cultuale di maschere animali, come ad esempio accadeva per i guerrieri Berserkir (uomini orso) e gli Úlfheðnar (uomini lupo).

Spettri e creature malvage
Tra i diversi esseri sovrannaturali che compongo la variegata e complessa mitologia nordica, ci sono anche figure meno nobili e malvagie. Queste figure legate alle forze dell’oscurità sono descritte nelle fonti letterarie con il nome generico di gandr, traducibile come mostro, ma anche con il termine di magia, come riportato anche nella Historia Norvegiæ, dove la narrazione parla di maghi che operano per mezzo di uno spirito malvagio chiamato Gandr.
Un’altra figura appartenente al modo dell’oscurità, descritta nel folklore nordico è Draugr, lo spettro di un uomo defunto che durante la vita terrena ha perseguito un’esistenza malvagia e che il suo ritorno dall’aldilà, costituirebbe un grave pericolo per i vivi.
Nelle fonti letterarie si narra che tra i rimedi adottati per prevenire il suo ritorno di un non-morto c’era l’usanza di conficcare un palo nel corpo del cadavere per evitare che esso potesse uscire dal tumulo in cui era stato seppellito, mentre un altro rimedio era quello di decapitare il corpo del defunto e metterne la testa tra le gambe.
Il Draugr, così come viene descritto nelle opere del folklore e del mito nordico, pertanto, anticipa di qualche secolo la figura del vampiro così come è rappresentato nell’immaginario comune europeo e nel suo archetipo tradizionale.
La produzione letteraria medievale, successiva alla conversione al cristianesimo delle popolazioni norrene, ha enfatizzato gli elementi più macabri creando uno stereotipo di queste figure con sfumature più vicine al nuovo credo cristiano che non all’antica tradizione pagana.

Il crepuscolo degli Dèi
Come per gli altri aspetti della mitologia nordica, anche la ricostruzione dell’escatologia del mondo norreno suggerisce importanti richiami alla sfera religiosa cristiana.
Il concetto di eternità, nella mitologia nordica, non tende a rappresentare in maniera continua l’esistenza di uno stesso mondo, ma si esprime attraverso il reiterarsi di cicli vitali, un rinnovamento costante e incessabile.
Il dualismo bene/male, già anticipato nella guerra tra le due stirpi divine degli gli Æsir e dei Vanir, è stato esaltato nel Ragnarök, il crepuscolo degli Dèi, che segna il definitivo disfacimento dell’ordine cosmico fino a quel momento retto dagli Dèi stessi.
Nelle fonti letterarie il Ragnarök viene anticipato da segnali cupi e inquietanti, un gelido inverno, il Fimbulvetr, porterà un freddo insostenibile e distese di ghiaccio per tre lunghe stagioni.
Il mondo degli uomini sarà sconvolto da catastrofi naturali, terremoti, eruzioni di vulcani, alluvioni e vedrà una progressiva e inesorabile caduta di valori, all’insegna di odio e rancori che esploderanno in sanguinose guerre, fino alla sua stessa rovina.
La narrazione continua con l’epico scontro nella pianura di Vígríðr, tra gli Dèi e le proprie nemesi appartenenti alle forze del male, che vedrà il reciproco annientamento delle due fazioni, lasciando posto ad un nuovo mondo, in cui rinvigorite stirpi di uomini e Dèi daranno vita ad un rinnovato ciclo di vita.

La stirpe degli uomini
Nella mitologia nordica, anche la stirpe degli uomini ha una consistente rilevanza. Tra le figure ricorrenti nelle fonti medievali sono gli eroi, coloro che per volere del fato si distingueranno per le loro gesta, incarnando il concetto di evoluzione spirituale, che li avvicinerà alla figura degli Dèi. In questo senso, l’eroe è il risultato dell’evoluzione di un percorso iniziatico e quindi nella prodizione letteraria viene associato alle figure sovrannaturali che potranno guidarlo in questa esperienza. Di conseguenza, l’eroe ripone nella propria personalità le qualità divine che lo rendono partecipe nell’eterno conflitto tra il bene e il male.
Gli adattamenti letterari più comuni, provenienti dall’Edda poetica o dagli scritti di Saxo, sono riconducibili al ciclo dell’eroe Helgi Hjörvarðsson, sacrificato a Odino per la sua storia d’amore con una valchiria; la storia dell’eroe Hadingus, figura dalle forti connotazioni sciamaniche; le gesta di Svipdagr e il suo viaggio verso il regno sovrannaturale; la figura del guerriero Starkaðr, la cui descrizione (a volte contrastante tra le varie fonti) esce fuori dai classici canoni dell’eroe di bell’aspetto, giovane, di nobili origini e fedele alla propria patria, tanto da essere accostato alla stirpe dei giganti e descritto come un uomo austero, sfigurato dalle cicatrici riportate dalle ferite in battaglia e solitario, al punto di non essere integrato nella comunità degli uomini; il ciclo dei Nibelunghi, in cui Sigurðr (tradotto come Sigfrido) incarna la figura dell’eroe per antonomasia della mitologia germanica e nordica.
Un altro elemento ricorrente nell’epica medievale della tradizione germanica è il Viaggio, inteso come metafora per esprimere passaggio da un mondo verso un altro, con finalità e approccio diversi, in funzione del protagonista che lo intraprende. La destinazione più comune descritta dalle fonti classiche è l’aldilà, come narrato nel viaggio di Hervör, eroina figlia di Angantyr, verso il regno di Hel per recuperare la spada di suo padre oppure nella leggenda di Thorkill (considerato, insieme a Thorstein, una possibile ipostasi del dio Thor) e il suo viaggio nel regno di Hel, come iniziazione che lo porterà alla conversione verso il nuovo culto religioso del cristianesimo.

I simboli nella mitologia norrena
Un tema ricorrente, su cui fa perno la simbologia, in linea con i classici archetipi, è il dualismo tra la luce, quale espressione del principio della creazione e l’oscurità, quale rappresentazione del mondo degli inferi. Questa accezione negativa del buio, in realtà esula da altri aspetti della mitologia legata alle figure sovrannaturali come i nani, che per loro natura sono costretti a fuggire la luce per non essere pietrificati e i giganti, che non rappresentano le forze del male nell’accezione classica del termine, ma sono considerate forse del caos per la loro mancanza di razionalità e ragionevolezza, elemento che comunque li rende nemici degli Dèi, in quanto incarnano il caos, la minaccia all’ordine e all’armonia dell’universo.
Nel suo complesso, inoltre, la mitologia nordica presenta una simbologia molto corposa ed articolata che spazia tra quelli che possono essere considerati momenti chiave rispetto al tempo, come l’alba o il crepuscolo; i punti cardinali, con le loro prerogative riconducibili alla sfera religiosa; le sostanze, quali elementi di richiamo della creazione delle origini come, ad esempio, il ghiaccio o la rugiada, altre sostanze legate al concetto di eternità (pietra o vetro) o i metalli come oro, argento o rame; le geometrie di forme e colori. Tra le forme, quella più comune è il cerchio, spesso ricorrente nei luoghi sacri, simbolo di stabilità e protezione, costituisce un elemento rilevante nella sfera magico-religiosa delle antiche popolazioni, in quanto la sua delimitazione permette la separazione del sacro dal profano e di raccogliere la potenza divina in tutta la sua essenza.
I colori, invece, sono espressione del dualismo tra bene e male, rappresentando in maniera inequivocabile l’antitesi su cui si basa l’esistenza: i colori chiari quali manifestazione del potere divino, mentre i colori scuri divengono simbolo del caos e dell’oscurità.
Un altro aspetto della simbologia, le cui rappresentazioni sono molto ricorrenti nella mitologia nordica, riguarda il principio della creazione ed ecco che la rappresentazione degli elementi naturali divengono un tramite tra il mondo degli uomini e quello degli Dèì.
L’acqua, da un lato è una fonte primordiale di vita, così come viene sottointeso nella descrizione dei fiumi cosmici Elivágar e richiama il concetto di elemento purificatore e rigeneratore, ma allo stesso tempo, data la sua importanza, il suo controllo è prerogativa di maestria nelle arti magiche e può rappresentare una fonte di pericolo per gli uomini, come gli oceani considerati dimore di creature appartenenti alle forze dell’oscurità.
Il fuoco, altra fonte primordiale da cui ebbe origine il mondo, nella sua funzione purificatrice e rigeneratrice, diviene un elemento associato al concetto di iniziazione, come descritto, ad esempio, nell’episodio in cui Odino si trova appeso tra due fuochi durante il suo percorso iniziatico.
Tra le sue numerose funzioni, il fuoco che per natura ascende verso il cielo, rappresenta il legame tra la terra e il cielo stesso. Il fuoco, inoltre, ha una funzione protettrice, riparo sicuro dai nemici, da creature selvagge o come barriera da forze sovrannaturali come streghe o demoni.
La terra, elemento femminile per eccellenza, in molte culture antiche è considerata la Grande Madre, che trasforma gli interventi divini, accrescendone la potenza. Nella narrazione del mito, la terra rappresenta la materia, contrapposta al cielo, quale rappresentazione dello spirito ed è elemento fondamentale per l’equilibrio dell’universo, in quanto in essa fonda le radici Yggdrasill, l’albero cosmico.
L’aria, un altro degli elementi fondamentali dell’universo, può rappresentare il vuoto primordiale descritto nelle fonti come ginnungagap, il baratro degli abissi, fonte alla quale possono attingere solo le creature sovrannaturali.
Strettamente connesso all’elemento dell’aria, il vento, la cui natura primordiale lo rende forza animatrice dell’equilibro del cielo. Secondo la narrazione del mito, il vento è prodotto dal battito delle ali del gigante dalle sembianze di un’aquila, dal nome Hræsvelgr. Secondo altre interpretazioni, invece, il vento stesso è un gigante di natura malvagi, dal nome Kári o Vindr.

La simbologia nel mondo degli uomini
Per quanto riguarda il mondo degli uomini, la simbologia nella narrazione del mito è strettamente legata al rapporto tra questi ultimi e la natura. Le piante e gli alberi richiamano la concezione del cosmo, le erbe assolvono una funzione curativa e medicinale che sconfina sovente nella sfera della magia e del sovrannaturale, i luoghi descrivono una sorta di geografia mitologica e come accade per gli elementi di acqua, fuoco, terra e aria, divengono essi stessi un tramite tra uomini e Dèì.
Tra gli esempi più ricorrenti, il fiume viene associato alla funzione di separare i diversi mondi, in maniera tale da preservare l’equilibrio dell’universo e da impedire che le forze dell’oscurità possano invadere i rispettivi mondi degli uomini e degli Dèi. Il loro fluire incessante viene descritto come rappresentazione del ciclo della vita che si rinnova e al tempo stesso segna il trascorre del tempo che ne misura la durata. Nelle fonti letterarie i fiumi cosmici sono indicati con propri nomi che trovano varianti a seconda degli autori.
Il bosco, luogo sacro per eccellenza nella mitologia germanica, è la dimora in cui si manifestano le forze sovrannaturali e luogo di culto per rituali celebrativi. Secondo alcune fonti scandinave, come il Libro dell’insediamento, esisteva un vero e proprio culto dei boschi ai quali venivano offerti sacrifici. Questa prerogativa rendo il bosco un luogo iniziatico, con una funzione rigenerativa, dove ritrovarsi per affrontare un nuovo ciclo di vita.
Le sorgenti, associate all’immagine della vita in continuo rinnovamento e purificazione, si intrecciando con lo stereotipo di un luogo in cui si registra una maggiore predisposizione al contatto con esseri sovrannaturali o con le divinità.
Nelle fonti vengono descritte a ridosso delle tre radici di Yggdrasill, l’albero cosmico, ognuna delle quali ha un proprio nome: Hvergelmir, Mímisbrunnr e Urðarbrunnr.

Le figure animali nella tradizione nordica
Nella cultura delle antiche popolazioni norrene, le figure animali trovano la loro propria connotazione nell’ambito della sfera magico-religiosa.
La varietà di resti animali trovati in alcuni siti archeologici, risalenti all’età del bronzo, suggerisce la loro funzione cultuale in relazione alle diverse specie zoologiche (marina, terrestre e ornitologa) associandoli ai tre livelli della religione nordica: inferi, terra e cielo.
Le figure animali, di conseguenza, rappresentano per gli uomini le forze primordiali della natura e inconsciamente divengono espressione della minaccia del caos verso l’ordine precostituito e l’armonia dell’universo. Per questo motivo, nella narrazione del Raganrök, le forze oscure che combattono contro gli Déi hanno aspetti di animali ritenuti culturalmente nefasti, come il serpente e il lupo.
Un’altra prerogativa delle figure animali nella tradizione nordica è legata al concetto di presagio, che può avere una connotazione positiva o negativa in base al tipo di animale che appare in sogno o in una visione, per l’úfreskr, l’uomo “dotato di una seconda vista”, colui che ha il dono di riconoscere questi segni premonitori del fato.
Tra le figure più significate, nella narrazione del mito, si distinguono soprattutto corvi, cavalli, lupi e orsi.
Il corvo è la figura annunciatrice di messaggi premonitori per eccellenza ed è spesso associato ai luoghi di battaglia. Questa caratteristica determina una simbologia contrastante, in quanto il colore nero che lo caratterizza, lo pone in stretta relazione con il regno dei morti, ma al tempo stesso lo avvicina alla figura di Odino e al Valhalla, la sala dove trovano dimora coloro che sono caduti con onore in combattimento.
Il suo seguire il guerriero, infatti, è interpretato come segno di buon auspicio.
Il cavallo è una figura dalla simbologia piuttosto complessa, in quanto collegata a diversi aspetti dell’esistenza. Simbolo di fecondità e di vita e messaggero di luce, il cavallo è associato al dio Odino, in particolare la figura del destriero Sleipnir, raffigurato su reperti rupestri risalenti all’epoca vichinga, tra l’VVI e il IX secolo, presenti nella regione di Gotland, in Svezia, in particlare le pietre runiche di Tjängvide e Ardre. Nella narrazione del mito, per la sua vicinanza al mondo degli Dèi, al cavallo vengono attribuite qualità profetiche, dono che allo stesso tempo lo rende vittima sacrificale per eccellenza, come testimoniato da alcuni ritrovamenti scandinavi risalenti già all’età della pietra. La simbologia del cavallo, collegata da un lato alla fertilità e dall’altro al concetto di morte, rappresenta dunque il dualismo alla base dell’esistenza, tra vita e morte.
L’orso incarna la forza primordiale della natura, conservata nella sua condizione originaria. La sua immagine viene associata alle popolazioni la cui attività di sussistenza è legata alla caccia. Per questo motivo l’orso viene considerato un pericolo per la popolazione, ma allo stesso tempo incarna lo spirito della foresta da conoscere e rispettare. L’orso diventa anche tramite di un processo di iniziazione nella crescita spirituale del singolo individuo, tanto che in Lapponia, da alcuni siti archeologici sono stati rinvenuti resti che suggeriscono riti dedicati alla figura di questo animale.
Il rapporto tra l’uomo e l’orso è descritto anche nelle fonti scandinave, dove si narra della figura dei Berserkir, guerrieri consacrati a Odino, famosi nella mitologia nordica per il loro furore in battaglia, esaltando l’aspetto maschile e la potenza distruttrice prerogativa dell’orso.
Il lupo, non solo nella tradizione nordica, ma nella cultura medievale in genere, come l’orso è anch’esso simbolo di forza selvaggia, alla quale però, viene associata l’appartenenza alle forze dell’oscurità.
Tale descrizione trova la sua massima rappresentazione nella figura di Fenrir, il lupo figlio di Loki che combatterà mortalmente contro Odino, nella battaglia finale durante il Ragnarök. La narrazione del mito descrive “il crepuscolo degli Dèi” anticipato dal Fimbulvetr, il terribile inverno durante il quale l’ululato dei lupi si sovrappone allo stormire del vento, annunciando l’arrivo della tempesta. Un altro episodio significativo della mitologia nordica è quello in cui i lupi Sköll e Hati divoreranno rispettivamente il sole e la luna, come possibile rappresentazione del timore dell’eclissi, emblematico fenomeno associato alla fine del mondo.
Anche il lupo, come l’orso, incarna la figura di animale totemico: un’altra categoria di guerrieri consacrati a odino sono gli Úlfheðnar, uomini invasi da particolare furore, che vestivano copricapo e pelli di lupo durante le battaglie.

I guerrieri-belve, tra mitologia e psyche
Tra folklore e mitologia dell’antica tradizione nordica precedente all’introduzione del cristianesimo, si colloca la figura dei guerrieri-belve, due classi di guerrieri consacrati a Odino, indicati con i termini Berserkr (plurale Berserkir), uomini orso e Úlfheðinn (plurale Úlfheðnar), uomini lupo.
Nel primo caso, gli studiosi hanno aperto una controversia etimologica sull’interpretazione filologica del termine. Una prima ipotesi vede il sostantivo Berserkr, comporsi della radice ber, orso, al sostantivo sekr, camicia, esprimendo l’interpretazione più comunemente riconosciuta, come uomini vestiti di pelle di orso. Un’altra chiave di lettura è legata all’aggettivo berr, nudo, che associato al secondo sostantivo serkr, camicia, si presterebbe a tradurre il termine Berserkr come uomini senza armatura.
Il termine Úlfheðnar, invece, è composto da due sostantivi: il primo Úlfr indica il termine lupo, il secondo heðinn ad indicare un vestito di pelliccia.
Il termine Úlfr, derivante dal germanico Wulfaz e dalle sue evoluzioni etimologiche come il danese Ulver, l’anglosassone Wulf fino al tedesco Wolf, così come indicato su alcune iscrizioni runiche, induce a pensare che si tratta di un termine che possa esprimere il concetto di metamorfosi, intesa come mimetismo, legato a forme marziali di combattimento.
A partire dal XVII secolo, numerose interpretazioni e ipotesi sono state avanzate dagli studiosi, dando vita ad un interessante confronto tra le chiavi di lettura derivata da un’analisi filologica proveniente principalmente da fonti scaldiche come l’Haraldskvæði, eddiche o da altre saghe islandesi e gli studi scientifici che durante il XX secolo hanno interessato la sfera della medicina e più in particolare la psichiatria.
Se da un lato, le interpretazioni di natura filologica tengono conto del fatto che le tradizioni guerriere della Scandinavia pagana erano spesso collegate a pratiche magico-religiose, altre ipotesi hanno suggerito una chiave di lettura legata all’utilizzo di funghi allucinogeni o di altre sostanze psicotrope che potessero alterare la condizione mentale di questi guerrieri. Tesi però smentita da specifici studi medici riguardati l’epilessia o l’isteria, che si sono concentrati sulle descrizioni narrative dello spirito del berserksgangr, soprattutto le urla, gli ululati e il mordere gli scudi.
Un altro aspetto interessante proviene dalla Egil Saga, in cui viene introdotto il concetto di licantropia, a proposito della descrizione del personaggio di Kveld Úlfr e alla predisposizione fisica degli stessi guerrieri. Anche quello della licantropia è un elemento che nel tempo è stato oggetto di studio della psichiatria moderna.
Altre importanti testimonianze attestanti l’impiego di maschere zoomorfe provengono dai ritrovamenti archeologici a partire dall’età del bronzo, sia in Scandinavia, sia negli insediamenti germanici nelle aree più continentali.
Tali ritrovamenti però vanno contestualizzati e non implicano in alcun modo una correlazione delle figure di Berserkir o di Úlfheðnar, di epoca medievale, con un periodo così remoto, in quanto le strutture sociale e le credenze religiose delle popolazioni germaniche hanno subito importanti evoluzioni nel corso dei secoli, anche per via delle relazioni con altre culture indoeuropee provenienti dal Mediterraneo o dall’Asia.
Al di là di ogni ragionevole dubbio scientifico, sulla base della documentazione archeologica, delle fonti letterarie e delle epigrafie runiche, è comunque possibile affermare che il fenomeno delle figure dei guerrieri-belve, seppur associato ad un insieme di credenze religiose e culti pagani, è effettivamente esistito, in un arco temporale compreso tra l’età di Vendel e l’epoca vichinga, e conservato dal punto di vista culturale, dagli eruditi nordici tra l’XI e il XIII secolo.

Luoghi di Culto
Gli studi archeologici hanno mostrato l’esistenza di veri e propri luoghi di culto, fin dai tempi più antichi.
I siti danesi di Troldebjerg, nella parte meridionale dell’Isola di Langeland e di Tustrup, nello Jutland orientale, rappresentano evidenti testimonianze risalenti all’epoca preistorica.
Un altro sito danese, a Sandagergard, risale all’età del bronzo e la sua struttura caratterizzata da una serie di recinzioni, tra terrapieni e palizzate, ne suggerisce una destinazione non ad uso esclusivamente ritualistico, ma una predisposizione per attività quotidiane legate alla vita comunitaria.
Ciò spiegherebbe il motivo per cui aspetti cerimoniali di notevole importanza possono essere direttamente riconducibili ai luoghi nei quali sono presenti sepolture.
Durante l’ultima fase del paganesimo nordico, risale la costruzione di veri e propri templi, spesso descritti nelle diverse saghe, soprattutto nelle fonti islandesi, mentre il più famoso resta il tempio eretto ad Uppsala, in Svezia.
Dall’Islanda provengono le descrizioni degli Hof, costruzioni spirate alle chiese della prima fase del processo di cristianizzazione e che a loro volta potrebbero aver ispirato le linee architettoniche delle Stavkirker, luoghi di culto in legno, di cui si hanno importanti esempi in Norvegia.
I toponimi legati ai luoghi di sacri scandinavi inducono a pensare che le diverse forme di culto, nonostante il processo di cristianizzazione a fine epoca vichinga, abbiamo sempre mantenuto una particolare concezione della natura, prediligendo luoghi come alture, fonti e cascate, boschi o cumuli di pietre. Questi ultimi, in particolare, in linea con l’antica tradizione nordica, riconducono alle concezioni magiche delle pietre, ma anche alla sepoltura degli antenati e al recinto di pietra in cui si svolgeva l’assemblea.
L’approccio religioso degli uomini del nord, nonostante il cui credo si era evoluto da concezioni strettamente naturalistiche, non si allontanò mai, nella sostanza, dalle proprie premesse, mantenendo al tempo stesso, forti influenze con le pratiche magiche e le credenze nel sovrannaturale. In tal senso, ha avuto un ruolo molto importante il contatto con la cultura dei vicini popoli lapponi, in particolare il rapporto tra la pratica magica del Seidr, assai diffusa nella Scandinavia pagana e la magia tipica dei Finni e dei Lapponi.In questa pratica rituale, emergeva la figura preminente dello sciamano, colui che aveva il compito di stabilire il legame tra gli uomini e le entità sovrannaturali. Il rito veniva celebrato tramite un intenso uso di tamburi, producendo un suono marziale, dal ritmo ossessivo, finalizzato a produrre uno stato di trance mentale.

La magia nella cultura nordica
Nel quadro culturale dei popoli nordici, il concetto di magia è strettamente legato a quello di conoscenza del sovrannaturale e va ovviamente contestualizzato all’epoca medievale, tanto che a seguito della cristianizzazione, i codici delle leggi in Islanda e Norvegia imponevano pene estremamente severe per i casi che venivano riconosciuti come legati alla stregoneria.
Tra le fonti letterarie, la principale forma di magia è il Seiðr e viene descritta da Snorri Sturluson nella saga degli Ynglingar come una pratica che la dea Freyja insegna alla famiglia degli Æsir dopo essere stata accettata tra loro.
Oltre alla pratica del Seiðr, tra le capacità sovrannaturali descritte nelle fonti letterarie, la preveggenza o più in generale, la capacità di prevedere il futuro, avevano un ruolo fondamentale e sono associate alle figure della Vǫlva, quale esperta nella divinazione e a quella della Spákona, l’indovina capace di predire il futuro.
Di queste figure sovrannaturali si ha traccia in numerose saghe, tra cui quella di Erik il Rosso, nella Saga dei Faroensi, nella Saga di Rodolfo il Magro (episodio citato anche nel Gesta Danorum di Saxo Grammaticus).
In altre saghe, invece, si narra di magia divinatoria oppure di pratiche magiche volte alla manipolazione dei fenomeni naturali a volte a fin di bene, a volte effetto di malefici. In altre ancora, infine, la pratica magia è finalizzata alla cura di malattie oppure, come descritto nel Libro dell’insediamento, la magia ha un ruolo particolare nello svolgimento delle battaglie, infondendo ai combattenti una forza e coraggio tali da influenza l’esito degli scontri.
Quanto emerge dalle saghe scandinave, pertanto, suggerisce che la sfera magico-mitologica era qualcosa di estremamente connesso alla struttura della società, attraverso la definizione di ruoli ben precisi all’interno delle varie comunità.
BIBLIGRAFIA di riferimento: clicca qui

Realizzazione siti web www.sitoper.it
cookie