28 Settembre 2024
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LE PORTE DI YGGDRASILL
Storia e Archeologia
Celti e Germani
Gli studi archeologici fanno risalire le principali comunità dell’Europa continentale all’età del ferro, individuando in particolare due diversi siti. Il più antico è il sito di Hallstatt, da cui deriva l’omonima cultura archeologica sviluppatasi in Stiria, nei pressi dell’attuale Salisburgo, tra il XIII e il V secolo a.C.
Il secondo sito è quello della Cultura di La Tène, sviluppatasi nei pressi del lago di Neuchâtel, in Svizzera, tra il VI e il I secolo a.C. espandendosi fino al Mare del Nord e più ad est verso l’odierna Repubblica Ceca, fino ai Carpazi.
Altri nuclei di culture archeologiche sono stati individuati in bassa Sassonia: Wessenstedt (800 - 600 a.C.) e Jastorf (600 - 300 a.C.).
In questo contesto sono state elette due macro-agglomerazioni derivanti dalle culture classiche, greca e romana, per identificare le popolazioni europee, soprattutto sulla base del ceppo linguistico.
In particolare, archeologi e linguisti individuano il primo macro-agglomerato proveniente dalle culture di Hallstatt e La Tène, con il termine convenzionale Celti, etnonimo che fu coniato dagli antichi eruditi greci per indicare le popolazioni con le quali ebbero i primi contatti nella colonia di Marsiglia, termine poi esteso ad altre popolazioni culturalmente affini.
Nell’ambito dei popoli Celti ecco che sono stati raggruppati cinque diversi gruppi: i Britanni, abitanti in Gran Bretagna e Irlanda; i Galli, stanziati tra la Francia, la Svizzera e il Belgio; i Pannoni, che popolavano le regioni lungo il Danubio, comprese tra le attuali Austria, Repubblica Ceca e più a sud tra Croazia e Ungheria; i Celtiberi, stanziati nella Penisola Iberica; i Galati, stanziati tra la penisola balcanica e la Tracia, fino alle regioni dell’Anatolia centrale.
La seconda macro-agglomerazione è fa riferimento all’etnonimo Germani, etichetta convenzionalmente adottata sulla base dell’etimologia Ger “vicini” + Mani “uomini” per indicare in maniera generica e a volte fuorviante, tutte quelle popolazioni del continente europeo giudicate estranee ai parametri culturali del mondo classico.
L’identificazione etnica può avere radici territoriali o di altra varia natura, ma è comunque il risultato di lunghi processi migratori derivati da elementi di natura economica, politica, religiosa o militare, nei quali l’etnicità in senso stretto entra in gioco in maniera assai disomogenea.
Le fonti più famose si trovano negli scritti di autori classici, tra cui spiccano il De bello Gallico, scritto da Gaio Giulio Cesare, attorno al 50 a.C. e il De origine et situ Germanorum di Publio Cornelio Tacito, in cui l’autore descrive le tribù germaniche che vivevano fuori i confini dell’Impero Romano, risalente al 98 d.C. circa. Da queste fonti proviene una dettagliata suddivisione delle tribù germaniche che costituisco il nucleo di quei territori del Europa centrale e settentrionale che non erano sotto il controllo romano, che prendeva il nomo di Germania Magna.
La storiografia romana ripartiva le popolazioni germaniche in funzione delle aree geografiche in cui erano stanziate. Nella sua opera, Tacito suddivide le popolazioni germaniche in tre diversi gruppi:
· Ingaevones, tribù stanziate lungo le coste del Mare del Nord, di cui facevano parte Frisi, Cauci, Cimbri, Teutoni, Angli, Sassoni e Juti;
· Istaevones, stanziati nel bacino del Reno-Weser, raggruppavano le tribù dei Catti, Batavi, Ubi, Treveri e Franchi;
· Herminones, stanziati nel bacino dell’Elba, raggruppavano le tribù dei Marcomanni, Quadi, Ermunduri, Semnoni e Longobardi.
La storiografia romana descrive, inoltre, una serie di tribù “germaniche” presenti nelle regioni orientali del continente europeo. Tra le più importanti si ricordano Vandali, Burgundi, Gepidi, Rugi, Eruli, Bastarni, Sciri, Goti, scissi successivamente in due rami: Ostrogoti e Visigoti.

L’antropizzazione delle Regioni del Nord Europa
È difficile determinare con esattezza la periodizzazione storica delle popolazioni, in quanto essa varia a seconda dei contesti geografici del pianeta.
Le prime tracce di antropizzazione dei territori scandinavi risalgono al XIII Secolo a.C. – collocandosi nella fase finale del Paleolitico – e si estende tra il nord della Germania, Belgio, Paesi Bassi e Danimarca, avvalorando la tesi che già attorno al 13.000 a.C. in molti dei territori dell’attuale Scandinavia si svilupparono le prime forme di vegetazione in numerose aree totalmente sgombre di ghiacci. Questi primi insediamenti vengono indicati con il termine di Cultura di Amburgo, dal luogo dove sono stata trovata la concentrazione maggiore dei reperti più significativi. Le successive fasi preistoriche, si possono scandire secondo quanto segue:
Mesolitico (9500 a.C. – 4100 a.C.)
I Fase (9500 a.C. – 6800 a.C.) – Antropizzazione della Danimarca, Svezia meridionale e centrale, Regione di Gotland
Passaggio della flora e della fauna tipica della tundra a quella della foresta
Attività di caccia e pesca, raccolta di vegetali commestibili
II Fase (6800 a.C. – 5500 a.C.) – Antropizzazione Norvegia e aree dei fiordi
Cultura di Fosna, nell’arcipelago di Kristiansund, lungo la costa delle regioni di Møre e Romsdal
Cultura di Komsa, nella regione di Finnmark, fino alla Penisola di Kola.
III Fase (5500 a.C. – 4100 a.C.) – Antropizzazione entroterra norvegese, danese e svedese
Cultura di Nøstvet, all’interno del Bunnefjorden, a sud-est di Oslo
Cultura di Lihult, nella regione svedese di Bohuslän
Cultura di Ertebølle, sul Limfjorden, nella parte più a nord della regione dello Jutland
Neolitico (4100 a.C. – 2300 a.C.)
Accanto ai sistemi tradizionali della caccia e della pesca, compaiono nuove attività per il sostentamento, legate all’allevamento e all’agricoltura.
Si registrano i primi contatti tra le popolazioni scandinave con le culture delle aree centrali dell’Europa, tra Belgio, Germania, Polonia, fino più a sud, con le regioni della Svizzera e dell’Austria, fino alla Bulgaria.
La prima cultura contadina scandinava risale alla Danimarca, estendendosi fino all’Europa continentale, tra il 3900 e il 3800 a.C.
Attorno al 3500 a.C. risalgono le prime tracce di aratura del terreno, e già durante il III millennio a.C. fa la comparsa il carro con le ruote
Tra il 2800 e il 2700 a.C. le prime forme di agricoltura sono diffuse in Danimarca, nelle regioni centro-meridionali della Svezia, lungo le coste interne norvegesi e del Baltico.
Dal punto di vista culturale, si affermano gli aspetti legati alla sacralità, legati alla realizzazione dei primi monumenti funerari, elemento utile per comprendere l’organizzazione sociale delle comunità del tempo.
In questo periodo della preistoria scandinava, si definiscono i modelli di comunità organizzate secondo concezioni di vita differenti, collettiva e individualistica, dualismo che verrà proiettato nella cultura religiosa norrena, tra le divinità dei Vani e degli Asi.
La zona di contatto tra le popolazioni scandinave e quelle provenienti dall’Europa continentale è l’area compresa tra le regioni più settentrionali della Germania, lo Jutland, la Danimarca e le regioni meridionali di Svezia e Norvegia. In quest’areai vengono fatti risalire i primi nuclei di popolazioni indicate con il termine Germani del Nord, dove, tra le varie istanze e modelli culturali, si determina il prevalere di idiomi di matrice indoeuropea.

La Protostoria (l’Età dei metalli: rame, bronzo, ferro)
Durante questa fase di transizione verso l’Età Antica (comunemente fatta coincidere con l’arco temporale a partire dall’invenzione della scrittura alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C.) si sono recuperate numerose testimonianze di scambi commerciali con le aree sud-orientali del continente europeo.
A differenza dell’età del rame, che nella Scandinavia si colloca tra il 2300 e il 1700 a.C., l’età del bronzo, che si protrae fino al 500 a.C., è notevolmente più ricca di significativi reperti di pregevole manifattura, molto spesso trovati in luoghi di culto, a conferma del loro utilizzo come oggetti di decorazioni, piuttosto che essere impiegati per le attività quotidiane.
Un altro elemento di notevole rilevanza è l’arte rupestre, le cui incisioni su pietra e le raffigurazioni sulle pareti di roccia nel nord Europa vantano una lunghissima tradizione e un’ottima qualità.
I soggetti rappresentati in questa forma di arte antica sono soventemente simboli che in qualche modo richiamano gli aspetti della vita in comunità, ma anche elementi legati a culti religiosi o magici, determinandone un carattere indiscutibilmente culturale e rituale.
La crisi nell’approvvigionamento del metallo introduce la successiva età del ferro, che in Scandinavia viene solitamente stabilita attorno al 500 a.C.
Questa epoca si caratterizza soprattutto per i primi flussi migratori in diverse direzioni, verso le regioni dell’Europa continentale, approcciando all’influenza culturale delle popolazioni celtiche.
Gli studiosi suddividono l’età del ferro scandinava in differenti fasi, verosimilmente anche in funzione dei ritrovamenti archeologici: l’età del ferro celtica o preromana (500 a.C. – Anno 0), età del ferro romana (Anno 0 - 400 d.C.), età delle migrazioni (400 d.C – 550 d.C) ed età dei Merovingi (550 d.C. – 800 d. C.) .
Le inquietudini dell’età del ferro, dovute anche ai cambiamenti climatici e alle conseguenti difficoltà per le attività di sostentamento, suggeriscono che molti prodotti legati all’agricoltura, alla caccia e alla pesca, ma anche ad altre attività della vita quotidiana, siano frutto di intensi scambi commerciali tra le diverse popolazioni del continente europeo, implicando profonde trasformazioni nelle stesse comunità dell’epoca.

I popoli del Nord
Dalle scuole classiche romana e greca provengono altri riferimenti geografici e storiografici dei territori del Nord Europa e in particolare della Scandinavia.
Tra le opere più importanti è da ricordare “Sull’oceano”, libro del geografo greco Pitea, che ha vissuto a Massalia (l’attuale Marsiglia) nel IV secolo a.C.
Nella sua opera, l’autore descrive il viaggio verso nord, seguendo le coste della Britannia spingendosi verso gli arcipelaghi settentrionali delle isole Ebridi, delle Orcadi e delle isole Fær Øer, introducendo il mito di Thule. Il suo viaggio verso nord-est lo portò in Scandinavia, approdando in Norvegia, poi verso l’isola di Gotland, in Svezia, per fare infine ritorno verso casa.
Altre fonti a riguardo dei territori del nord sono giunte in epoca romana, attraverso gli scritti di Pomponio Mela e Plinio il Vecchio in cui i geografi descrivono il Codanus Sinus per indicare la regione costiera a sud della Scandinavia, tra lo Jutland, lo stretto di Kattegat e il Mar Baltico.
In epoca romana, il nord Europa non fu solo materiale di studio per i geografi, ma altre importanti fonti letterarie hanno permesso di poter tracciare una mappatura delle diverse etnie e tribù “germaniche” nei territori scandinavi.
Anche in questo caso, l’analisi etnologica viene sviluppata sulla base di fonti storiografiche di scuola romana.
Risalente al I secolo d.C., l’opera Naturalis historia di Plinio il Vecchio, narra dei popoli Illeviones, stanziati nella penisola scandinava, il cui ordinamento sociale era suddiviso in clan e tribù. Tra queste, le più note sono i Teutoni, Juti, Angli, Eruli, Sueoni, Geati, i Dani dai quali prende il nome la Danimarca, o gli Svear, antenati degli attuali svedesi.
Anticamente, queste popolazioni sono state indicate con l’idioma generico Norreni, in lingua antica norðrœnn, il cui suffisso œnn fa riferimento alla provenienza dal Nord (Scandinavia). Termine che durante il medioevo fu latinizzato in Normanni, mantenendo l’antico significato di “Uomini del Nord”.

Organizzazione sociale
Le comunità nordiche avevano una struttura sociale ben definita, al vertice della quale si ponevano le figure di sovrani che rivestivano spesso un ruolo ai limiti della sacralità.
Questo esercizio del potere si espletava in ambiti territoriali limitati, determinando una complessa rete di diverse tipologie di autorità nella Scandinavia medievale. In una società ancora strutturata sostanzialmente sul modello tribale, nonostante si registrassero le prime forme di aggregazione e di concentrazione del potere, il frazionamento delle autorità era un dato di fatto, complicato da alleanze e rivalità.
Durante l’epoca vichinga, oltre alla figura del re (konungr) emerge quella dello jarl, investito di un’autorità pari quasi a quella di un sovrano e molto diffuso soprattutto in Norvegia, mentre si hanno informazioni più scarse per quanto riguarda la Svezia e la Danimarca.
Rispetto ad altre regioni dell’Europa medievale, dove i sovrani avevano un ruolo più politico, nelle comunità scandinave i sovrani mostrano in maniera predominante le caratteristiche del capo guerriero.
Prendendo ad esempio il modello sociale piramidale, le fonti letterarie indicano accanto ai sovrani, gli uomini di corte (hird), una istituzione disciplinata da norme ben precise, finalizzate alla gestione del rapporto tra il sovrano e i suoi uomini. Ad un gradino inferiore della piramide c’erano gli “uomini liberi”, una categoria di persone di diverso peso sociale, in funzione della famiglia di appartenenza, alla posizione che essi ricoprivano al suo interno, all’estensione delle terre possedute e all’attività che essi svolgevano per la produzione di beni indispensabili, sia in ambito agricolo, sia in altre attività artigianali, come fabbri e carpentieri.
Inoltre, la società nordica conosceva la schiavitù, individui (spesso prigionieri di guerra) la cui posizione sociale non garantiva diritti e ai quali erano affidati i compii più gravosi. Gli schiavi potevano essere affrancati dal loro status solo tramite un pronunciamento ufficiale di fronte all’assemblea. Solo nel corso del XIII Secolo, con la definitiva affermazione del cristianesimo e l’avvento di nuovi mezzi di sostentamento, la schiavitù andò progressivamente scomparendo.
Al di sottò degli schiavi, nella scala sociale delle comunità scandinave i fuorilegge, gli skogarmadr, traducibile come “uomini che vivono nella foresta”, a seguito di condanne per reati di una sostanziale rilevante gravità.
All’interno della società nordica, un ruolo particolare era quello della donna che, nonostante si trovasse in una posizione meno penalizzante rispetto ad altre società contemporanee, restava comunque in una posizione di marcata inferiorità rispetto all’uomo, tanto che ogni donna era soggetta ad un tutore, che fosse il padre o qualsiasi altro membro maschile della famiglia.
Il matrimonio era sostanzialmente un contratto teso a rafforzare legami che avessero un peso sociale e politico, in cui la volontà della donna non aveva alcun peso. Ciò nonostante, nei ceti più elevati, la figura della donna godeva comunque di stima e considerazione da parte degli uomini, come viene descritto in numerosi episodi citati nelle saghe islandesi e le storie riguardanti le valchirie, mitologiche creature sovrannaturali.

L’epoca vichinga
Con il termine “era vichinga” si indica l’arco temporale di circa 250 anni, compreso tra la fine del VIII secolo e la seconda metà dell’XI secolo.
Per il termine “vichingo” non si è ancora giunti ad una interpretazione sicura e definitiva, a causa anche del fatto nelle lingue nordiche molte parole suonano foneticamente in maniera molto simile, se non addirittura allo stesso modo.
Tra le diverse possibili interpretazioni del termine “vik”, quella più comunemente diffusa tra i linguisti è “baia”, suggerendo pertanto che il termine vichingo sia ascrivibile alle comunità marittime insediatesi nelle baie e nelle aree più prossime ad esse.
Un’altra interpretazione comune è quella adottata dal linguista Fritz Askeberg che associa al termine “vichingo” alcune caratteristiche tipiche del vivere degli uomini del Nord, quali escursione e lontananza, suggerendo la chiave di lettura di “lungo viaggio per mare e una lunga assenza dalla patria”.
Generalmente l’inizio di questa epoca viene fatto coincidere con l’8 giugno 793, data dell’assalto vichingo al monastero inglese di Lindisfarne, nella regione di Northumbria.
Tra l'VIII e il X secolo, le incursioni vichinghe si spinsero in un vasto lembo dell’Atlantico, compreso tra le Isole Farøe e le isole Shetland, fino alle Orcadi, le Ebridi e all’Isola di Man al largo del Mare d’Irlanda. Negli anni Trenta del IX secolo, fu la volta delle incursioni vichinghe nell’entroterra irlandese, incursione e conquiste che si protrassero fin verso l’anno Mille, quando l’Irlanda riuscì a ritrovare la sua piena indipendenza dagli invasori norvegesi.
Ancora più incisive furono le incursioni nei territori inglesi, fino a divenire una vera e propria invasione, al punto da veder nascere ed espandersi un territorio sotto la giurisdizione dei danesi: il Danelagu. Dopo una serie di sanguinose battaglie e la conquista del Wessex da parte dei danesi, l’Inghilterra venne incorporata nel regno di Canuto il Grande, con il quale l’espansione vichinga raggiunse il suo apice.
Sul versante orientale, invece, dalla Svezia e dagli insediamenti baltici i norreni si diresse verso sud-est discendendo il corso dei fiumi Dnepr e Volga, attraversarono il Mar Nero da una parte e il Mar Caspio dall’altra, giungendo fino a Costantinopoli e Baghdad.
Dalla Danimarca, invece, le rotte di navigazione si spinsero ancora più a sud verso le coste occidentali della Francia, nelle regioni dei Frisoni e dei Sassoni, fino ad Aquisgrana. A sancire con un atto formale l’influenza dei popoli nordici, nel 911 Re Carlo il Semplice concesse al capo vichingo Rollone, il titolo di Duca di Normandia. Fatto questo che se da una parte evidenziava i successi vichinghi, nel lungo termine ne segnò un forte ridimensionamento. Durante la loro permanenza in Francia essi avevano gradualmente perso il loro patrimonio vichingo: sia gran parte delle loro tradizioni, sia la loro lingua ormai di fatto sostituita dai dialetti locali.
Altre scorrerie segnarono l’espansione vichinga verso sud, nel Mediterraneo, dove fu sbaragliata l’egemonia dei Saraceni che fino a quel momento, tra l’XI e il XII secolo, avevano il pieno controllo delle coste del Nord Africa, fino alla Sicilia e alle altre regioni dell’Italia meridionale.
L’epopea vichinga su però interrotta nel 1066, a seguito della sconfitta nella battaglia di Stamford Bridge del 25 settembre, che vide vincitore l’esercito inglese sulle fazioni norvegesi. La vittoria inglese però durò poche settimane, fino alla battaglia di Hastings del 14 ottobre dello stesso anno che decretò una decisiva invasione normanna ad opera di Guglielmo il Conquistatore, il quale diventò il nuovo Re d’Inghilterra.

Passaggio a Nord Ovest
L’epopea dei popoli nordici è stata caratterizzata soprattutto per le imprese compiute nell’ambito delle esplorazioni, grazie alle loro abilità nella navigazione. Durante quella che viene comunemente chiamata “epoca vichinga” i Paesi del Nord Europa vissero un periodo di intesa attività culturale, politica e di relazioni internazionali.
Le rotte lungo l’Oceano Atlantico furono a lungo batture dai vichinghi norvegesi che furono protagonisti della colonizzazione di numerose isole sparse tra le coste scozzesi e l’Islanda, fino alla Groenlandia e alle coste orientali del Nord America.
Il processo di colonizzazione dell’Islanda, tra il IX e il X secolo, va considerato in un’ottica completamente diversa rispetto ai flussi migratori avvenuto verso le isole della Gran Bretagna o le zone interne del continente europeo, in quanto la motivazione principale non dipendeva più da questioni di natura economica o commerciale, né tanto più era spinta dalla necessità di trovare nuove terre ricche di risorse naturali.
Un importante contributo storiografico circa la colonizzazione dell’Islanda ci giunge dal Libro degli Islandesi e soprattutto dal Landnamabok, il Libro dell’insediamento.
Le prime evidenze archeologiche datano attorno all’860 un primo insediamento lungo le coste dell’isola atlantica, che prese il nome di Gardarholm, dal norvegese Gardar Svarvarsson, il quale approdò all’isola accidentalmente per via di una tempesta che dalle Orcadi lo spinse verso nord.
Il suo rientro in patria suscitò molto clamore tra la popolazione, la descrizione di una nuova terra che presentasse condizioni adeguate per le coltivazioni, l’allevamento del bestiame e la pesca, indusse ad una intensificazione delle migrazioni. Alcuni anni dopo, un altro norvegese, Flake Vilgardsson, si imbatté in quest’isola e finì per chiamarla Terra del Ghiaccio, Islanda.
L’espansione norvegese nell’Oceano Atlantico continuò fin circa all’anno mille e si inoltrò sempre più verso ovest. La storiografia nordica narra della scoperta della Groenlandia ad opera di Erik il Rosso, allontanato nel 982 dall’Islanda dopo aver commesso un omicidio, che descrisse quella terra che nonostante si presentasse inospitale e inaccessibile, lungo le coste più meridionali, verso Capo Farvel, presentava condizioni ottimali per gli insediamenti, soprattutto nella era più interne dei fiordi, ricche di vallate verdi e fiumi.
Già attorno al 985, il norvegese Bjorn Herjulfsson, mosso dalla ricerca del padre, si spinse in un viaggio che lo portò verso l’attuale Isola di Baffin, che all’epoca egli stesso chiamò Helluland, la Terra dei Sassi.
La crescita della popolazione rese ben presto le risorse groenlandesi insufficienti per il suo sostentamento e quindi prese piede a necessità di migrare verso nuove terre, altrettanto ricche per permettere eventuali insediamenti.
Fu così che attorno all’anno mille, il secondogenito di Erik il Rosso, Leif Erikson iniziò i suoi viaggi per mare giungendo ad una costa che si apriva verso verdi foreste che fu battezzata Markland, Terra delle Foreste), l’attuale penisola del Labrador, nella costa orientale del Canada.
L’esplorazione continuò verso sud-est cosicché la spedizione giunse lungo le coste dell’attuale isola di Terranova che, in virtù della sua ricchezza di viti, gli fu dato l’appellativo di Vinland, Terra del Vino, dove sono stati individuati i siti archeologici de L’Anse Aux Meadows.
Una ulteriore spedizione esplorativa fu portata avanti, successivamente, da Thorfin Karlsefni, un mercate islandese che giunse fino alle coste del Golfo di San Lorenzo, verso la regione dei Grandi Laghi.
Le migrazioni norvegesi verso il Nord America non durarono a lungo e si interruppero pochi anni dopo, a causa delle continue tensioni con le popolazioni indigene dei nativi americani, chiamati Skraelinger.
Dalla fine del XIX secolo ad oggi, una serie di ritrovamenti tra cui la Pietra di Kensington, una stele ricoperte di simbolo runici, rinvenuta nel 1898 nel Minnesota, hanno indotto a pensare che l’avanzata vichinga nel continente nord americano sia penetrata fino alle zone più centrali degli Stati Uniti.

Viaggio nelle Terre d’Oriente
Dalla Norvegia e dalla Danimarca l’espansione norrena si è diretta verso ovest, in Gran Bretagna, Irlanda e gli arcipelaghi atlantici delle isole Shetland, Ebridi e Orcadi, spingendosi più a nord, verso le Isole Faroe, l’Islanda e la Groenlandia, fino alle coste occidentali del Nord America. Dalla Svezia, invece, l’espansione scandinava si è diretta verso sud-est, in direzione del Mar Caspio, giungendo fino in Asia.
Seguendo il corso del Dnepr e del Volga, i primi contatti con i norreni partiti da Uppsala e dalla regione del Gotland si registrarono con la Confederazione Bulgara e il Khanato dei Cazari, la cui capitale Itil (nei pressi dell’attuale Astrakhan) esercitava la propria influenza dal Caucaso fino alla Crimea. Questo territorio oggi corrisponde all’attuale Kazakistan.
Nelle regioni settentrionali, invece, alcuni ritrovamenti archeologici hanno portato alla luce i resti di un insediamento svedese risalente al IX secolo a Staraya Ladoga, nei pressi di Leningrado.
La più antica, tra le fonti storiografiche circa i variaghi e in particolare i Rus’ di Kiev è l’Antica Cronaca degli Anni Passati, risalente al XII secolo, che narra del Khanato di Rus’ la cui capitale era Novgorod e che si espanse lungo il Dnepr, fino a Kiev. Ben presto il grosso delle attività commerciali si spostò da Novgorod a Kiev che di conseguenza vide l’ascesa della propria influenza in tutta la regione tra la Bulgaria e il regno Cazaro.
La storiografia tende a periodizzare il potere del nuovo centro politico della Rus’ di Kiev in tre diverse fasi, tra l’880 e il 1240.
La prima coincide con il Regno di Svjatoslav I autore dell’espansionismo di Kiev nella regione bulgara del Volga; la seconda fase (980 - 1054) rappresenta il periodo più fulgido di Kiev e coincide con il regno di Vladimir il Santo, colui che fu autore del processo di conversione al cristianesimo della popolazione di origine variaga e che proseguì la politica di espansione verso i territori a nord-ovest, compresi tra Polonia e Lituania; la terza fase, invece, ne segna la progressiva decadenza fino all’invasione mongola tra il 1234 e il 1240, anno che decreta la fine della stessa Rus di Kiev.
Un altro manoscritto risalente al X secolo, ad opera dello scrittore Ahmad Ibn Fadlan racconta il suo viaggio da Baghdad verso il Khanato Bulgaro e narra dei rapporti commerciali tra gli abitanti della regione e i mercati nordici, provenienti dalla Svezia, descrivendo minuziosamente anche i loro usi e le loro abitudini. Il Khanato di Rus’ fu un importante centro politico e la sua struttura sociale gravitava attorno alle popolazioni norrene, slave e finniche che lo componevano.
A seguito del processo di conversione al cristianesimo, i due principali Khanati Rus’ di Novgorod e Kiev furono unificati sotto un unico impero cristiano della Russia Occidentale, mentre andava acquisendo sempre maggiore importanza e influenza politica l’Impero Bizantino.
Nuove rotte commerciali furono tracciate, lungo il corso del Dnepr, utilizzate come collegamento diretto con il Mar Nero e Bisanzio. Nuove popolazioni si affacciavano nelle dinamiche politiche ed economiche dell’intera regione, tra cui i Cumani, tribù nomadi della steppa euroasiatica, la cui presenza è stata testimoniata anche nell’opera lirica di Aleksandr Borodin del 1887, basata sul poema epico Il canto della schiera di Igor, risalente al XII secolo.
Dalla disfatta inglese contro i normanni avvenuta durante la battaglia di Hastings nel 1066, molti anglosassoni privati delle loro terre giunsero nell’impero bizantino, andando ad infoltire la guardia variaga fedele all’imperatore. Fonti storiografiche indicano la presenza di uomini del nord in queste terre d’oriente ben oltre la fine dell’epoca vichinga, almeno fino al XV secolo. Presenza che viene fatta coincidere solitamente al 1453, anno della caduta di Costantinopoli ad opera di Maometto II.

La presenza vichinga nel Mediterraneo
Nella loro espansione verso il continente europeo, i vichinghi non si limitarono agli arcipelaghi dell’Atlantico, tra il nord della Britannia e dell’Irlanda, né tantomeno alle terre francesi, ma proseguirono le loro esplorazioni più a sud, nel bacino del Mediterraneo.
Dopo aver attraversato lo stretto di Gibilterra, le prime incursioni si concentrarono lungo le coste della Galizia e dell’allora Emirato di Cordova. Le attività vichinghe, tra razzie o semplici scambi commerciali, continuarono in Spagna, verso la città di Murcia, fino a raggiungere le Isole Baleari, per risalire lungo le regioni attorno al Rodano e verso la Provenza, in Francia, mentre più a sud, proseguirono verso le coste del Marocco fino alla città di Nekor.
Da fonti arabe e dalle cronache del tempo provengono informazioni circa le navigazioni vichinghe nell’intero bacino del Mediterraneo, fino ad Alessandria e lungo i litorali della Grecia. Tra l’VIII e il IX secolo, anche l’Italia fu territorio di esplorazioni vichinghe, soprattutto le regioni del sud, come la Sicilia e le coste della Puglia e della Calabria.
Le documentazioni della presenza dei vichinghi nel Mediterraneo si trovano soprattutto nelle iscrizioni delle pietre runiche svedesi dove viene riportato il termine Grikkland (Grecia) e nelle fonti bizantine dell’epoca in cui si narra delle relazioni commerciali, culturali e tra i due popoli.

Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo
Al termine di quella che viene definita l’epoca vichinga, si era innescato un nuovo percorso sociale che vide affermarsi due forti poteri centrali: lo Stato e la Chiesa, in virtù del suo ruolo politico sempre più marcato.
Fino a quel momento, nella Scandinavia continentale, la nazionalizzazione dei territori non aveva ancora avuto sviluppo, a causa della tradizione tribale che per secoli aveva permeato la società nordica, ancora legata a legami e alleanze tra famiglie potenti e agli interessi economici che ne derivavano.
Questo retaggio del passato fece sì che l’insediamento strutturale di un potere centralizzato poté avvenire soltanto grazie al sostegno da parte delle sfere ecclesiastiche.
L’organizzazione strutturale dei nuovi stati nordici influì profondamente nei cambiamenti sociali all’interno delle diverse comunità. La nascita di una classe nobile ebbe le prime ripercussioni sulle popolazioni locali: i terreni che da sempre segnavano un prestigio sociale per i legittimi possessori, passarono dai contadini ai nuovi proprietari designati dal Re, determinando una simbolica perdita di peso della stessa classe contadina, rispetto alla vecchia organizzazione tribale. Inoltre, fu istituito un nuovo sistema fiscale, dove il versamento di denaro passò da consuetudine a obbligo di legge.
I grandi cambiamenti derivati dalla nascita dei nuovi stati scandinavi non impattarono solamente sulla sfera sociale, ma ebbero importati riflessi anche nell’ambito dell’ordinamento legislativo e determinarono la definitiva dissoluzione dell’antica struttura sociale nordica, sopravvissuta fino all’epoca vichinga.
BIBLIOGRAFIA di riferimento: clicca qui

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